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09/09/2014

Volontariato: «Torniamo ad ascoltare il paese»

In occasione del Mese del Volontariato AISM abbiamo intervistato una delle voci italiane più autorevoli di questo mondo. Dal 1999 al 2006 è stato Portavoce del Forum del Terzo Settore, Presidente del Centro Nazionale Volontariato dal 2012, Deputato dal 2013. Ci racconta la sua esperienza e che ruolo ha la solidarietà nella nostra società

Edoardo Patriarca
Nella foto: Edoardo Patriarca

 

«Diamoci del tu».

È la prima cosa che ci dice Edoardo Patriarca, deputato eletto nel PD alle elezioni 2013 e Presidente del Centro Nazionale Volontariato dal 2012. Ha passato una vita nel mondo del volontariato, come lui stesso ricorda: «l’esperienza che mi ha costruito anche come persona è l’incontro con lo scoutismo dell’Agesci. Ero un ragazzino, quando ho iniziato, e ne sono uscito da Presidente, nel 2003. Quella è stata per me la vera storia di formazione alla cittadinanza attiva e alla politica». Dal 1999 al 2006 è stato Portavoce del Forum del Terzo Settore e nel 2010 è stato indicato dal Presidente della Repubblica Italiana come esperto per il terzo settore presso il CNEL, Consiglio Nazionale dell’Economia e Lavoro. Per cinque anni è stato consigliere dell'Agenzia per il terzo settore, poi abolita dal governo Monti. Dunque, quello di Edoardo Patriarca è un osservatorio autorevole, perché vissuto in prima persona, sul mondo del volontariato italiano. Un mondo che appunto, per prima cosa, vuole che gli si dia del tu, partendo da un rapporto personale che viene prima di ogni carica e di ogni idea.

Il Centro Nazionale per il Volontariato e la Fondazione Volontariato e Partecipazione hanno presentato di recente una ricerca sulle organizzazioni di volontariato. Di cosa si tratta e che immagine emerge delle nostre organizzazioni?
«Questa ricerca è stata effettuata nei primi mesi del 2014 su un campione di 1900 presidenti di organizzazioni di volontariato, intervistati tramite questionario. Il dato fondamentale che emerge è una sostanziale tenuta del volontariato. Nonostante la crisi il volontariato, l’impegno alla prossimità rimane intatto tra gli italiani. Dato significativo, che racconta un altro paese, non solo quello che sta vivendo con difficoltà questa lunghissima crisi, ma è anche una nazione ‘ricca’ di cittadini che continuano a decidere di impegnarsi per il bene comune».

In un Paese di poeti, navigatori e volontari, la solidarietà sistema tutto?
«Comunque permane una certa fatica della presenza del mondo del volontariato nelle Regioni del sud Italia: le esperienze più attive di volontariato sono concentrate nel centro-nord. A conferma che il volontariato non è in qualche modo sostitutivo di altri soggetti: interviene con forte impatto là dove esiste un buon territorio, una buona comunità, una buona amministrazione. Dove il tessuto sociale è un po’ fragile o affaticato, lì il volontariato sembra fare fatica a sua volta. Probabilmente il volontariato attecchisce meno dove c’è più disoccupazione o difficoltà a trovare lavoro. E questo potrebbe indicare che il volontariato non ruba lavoro, perché agisce nel campo della gratuità e del dono. Il volontariato solido e organizzato, secondo questa indagine, è scelto da persone che mediamente hanno stabilità economica e, tra virgolette, si possono ‘regalare’ il tempo della gratuità».

A proposito di ‘economia’, quanto ‘vale’ il volontariato in termini di denaro?
«Senza voler ridurre il volontariato a un mero indicatore economico, secondo la recente inchiesta curata da ISTAT il volontariato offre un contributo di circa 4 punti al Prodotto Interno Lordo, in particolare se si calcola il corrispondente costo del lavoro che avrebbero le ore donate gratuitamente dai volontari. Un contributo rilevante, non solo valoriale, nella produzione di ricchezza per il Paese».

Sempre secondo la vostra indagine, nel complesso circa 85 organizzazioni di volontariato su 100, nel 2013, hanno confermato o allargato la propria base associativa: qual è il segreto? Per quale motivo le organizzazioni di volontariato attraggono nuovi volontari e sanno tenersi stretti i volontari che hanno?
«Il volontariato, ma più ampiamente il terzo settore sono tra i pochi luoghi che offrono a chi lo desidera l’opportunità di partecipare alla vita pubblica, di assumere un impegno sociale diretto. In una società che guarda con diffidenza a molte istituzioni, il mondo del terzo settore continua a godere di stima e fiducia da parte di tanti cittadini. Inoltre, a mio avviso, nel volontariato percepisci che stai facendo qualcosa di concreto per risolvere problemi reali delle persone. E offre una possibilità concreta di toccare con mano che noi possiamo cambiarlo, questo benedetto paese».

Che differenza trovi, ora che sei deputato, tra il mondo dei volontari e la politica?
«In questi decenni ho lavorato molto in ambito civile, ho creduto e continuo a credere che la società civile debba conquistare lo spazio che merita nel nostro paese. Ora sono in Parlamento da un anno. E mi colpisce la fatica di fare capire e percepire l’utilità dell’azione che svolgiamo. Abituato a misurare nel tempo la capacità di agire e di cambiare, tocco con mano come in politica, non per colpa di qualcuno, i tempi di ricaduta sulla vita quotidiana del Paese sono davvero lunghi».

Come resisti?
«Ieri, in un giorno di pausa alla Camera, ho avuto uno splendido incontro ad Avellino, in Irpinia, con un gruppo di 50 giovani di Agesci. Insieme abbiamo parlato di coraggio. Con occhi attenti e pieni di vita, con il desiderio di sfidare il presente e costruire futuro, mi hanno chiesto cosa vuol dire per me oggi, in politica soprattutto, praticare la via del coraggio. Domanda che mi aiuta a ritrovare il valore dell’esperienza che sto vivendo. E l’immagine più forte che mi hanno rilanciato è una grande voglia di impegno e una grande richiesta a tutta la politica che decida, una volta per tutte, di investire sui giovani con i fatti e non solo a parole».

A proposito, quali sono, a tuo avviso, le parole più importanti oggi per il mondo del volontariato?
«Mi verrebbe da dire, più che una parola, uno slogan: “torniamo sulla strada”. Torniamo ad ascoltare il Paese. Questo è l’unico motivo vero che rende significativa la presenza delle organizzazioni di volontariato. Ascoltare vuol dire comprendere i bisogni sempre nuovi, le speranze delle persone e accettare la sfida di creare novità per costruire le risposte. Il volontariato nei decenni scorsi ha inventato le case famiglia, le comunità di accoglienza, che sono poi diventate strumenti delle politiche sociali. Oggi non dobbiamo accontentarci di quello che abbiamo costruito negli scorsi decenni. Nostro compito non tanto quello di difendere ciò che abbiamo ottenuto sino a qui. Piuttosto dobbiamo avere il coraggio di rimetterci sulla strada con attenzione, lungimiranza. È nuovamente il tempo di osare, con libertà e grande creatività e capacità di ascolto».

Potessi scappare avanti nel tempo e da lì riguardarti indietro, che sogno di novità vorresti vedere realizzato?
«Vorrei che questo nostro mondo del non profit assumesse ruolo di grande rilievo nella gestione dei beni comuni, l’ambiente, la cultura, il mondo dei giovani, il mondo degli anziani non autosufficienti. Vorrei che non fosse un mondo residuale, quasi un angolo eroico di valori solidali in un contesto alieno, ma un terzo settore che finalmente si riconosce e viene riconosciuto come soggetto pubblico, non statale, spazio in cui soggetti socialmente responsabili accettano la sfida di gestire i beni comuni a favore di tutti e non di qualcuno. Con una sussidiarietà coraggiosa che chiami tutti alla responsabilità».

Dovrebbe crescere la spesa sociale in un paese in crisi da tempo?
«Non mi piace l’etichetta di ‘spesa sociale’; parliamo di investimenti sociali. Rovesciamo la logica ottocentesca secondo cui il sociale sia luogo di sperpero, scialo, spreco di risorse che solo una società ricca e magnanima può consentirsi. Pensiamo al sociale invece come una grande occasione per il paese di crescere nella dimensione della comunità e della qualità della vita. E possiamo farcela, perché abbiamo una cultura profonda di solidarietà. Il nostro è uno dei Paesi più belli del mondo. Non si capisce perché non si possa mettere in gioco sulla qualità della vita e del sostegno a coloro che fanno più fatica».

Tra solidarietà e diritti c’è una connessione o una Linea Maginot non valicabile, dove chi può sta da una parte e se è buono aiuta chi non può?
«Ci deve essere connessione. La solidarietà non può non impegnarsi nel campo dei diritti. Sarebbe falsamente compassionevole se non si impegnasse a fare sì che tutti abbiano accesso ai diritti. La solidarietà deve essere una delle vie attraverso cui tutti i cittadini, anche quelli più fragili, attraverso un movimento solidale acquisiscono la consapevolezza di essere cittadini come tutti, persone cui viene garantita la vita buona insieme ai diritti previsti nella carta costituzionale».

Giuseppe Gazzola