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28/05/2015

“La riabilitazione può modificare sin dall’inizio l’andamento di malattia”

Diego Centonze è un ricercatore dell'Università Tor Vergata di Roma. Al Congresso FISM ha presentato i dati (non ancora pubblicati) di uno studio che può aprire nuove prospettive sui trattamenti per la SM

 

Diego CentonzeLa riabilitazione può cambiare sin da oggi la vita di una persona con SM: per questo ogni novità della ricerca diventa importante per aprire nuove prospettive sui trattamenti riabilitativi. È ciò che emerge dal Congresso FISM 2015, in particolare dalla ricerche del Prof. Diego Centonze dell’Università di Tor Vergata di Roma.

 

Qual è il principale elemento di novità che presenta al Congresso FISM?
«Il nostro progetto, in atto da 3 anni, aveva lo scopo di validare l’impiego di diverse metodiche di stimolazione magnetica per il trattamento di alcuni sintomi come la spasticità e il dolore neuropatico. Nel percorso effettuato ci siamo resi conto che, al di là del trattamento sintomatico, la riabilitazione effettuata con metodiche di neuro-stimolazione periferica è potenzialmente in grado di modificare l’andamento di malattia, proprio come fanno i farmaci, ottenere un effetto profondo e preventivo, un rallentamento della sua evoluzione».

 

Può spiegare su quali dati vi basate?
«Al Congresso presentiamo dati ancora non pubblicati, che stiamo ottenendo nel nostro laboratorio di ricerca, con cui in particolare documentiamo come nei modelli animali di SM i linfociti della periferia del sangue, dopo esercizio riabilitativo, riducano la propria capacità di produrre alcune citochine infiammatorie responsabili della malattia. L’esercizio, insomma, attenua l’espressione neuropatologica di una serie di marcatori associati alla progressione clinica della SM. Confidiamo che questo studio, una volta concluso definitivamente, possa offrirci un quadro ancora più esteso, aggiornato e veritiero di quello che possiamo ottenere con la riabilitazione».

 

Quale cambiamento verrebbe nella pratica clinica di riabilitazione, quando si riuscisse a mostrare l’impatto terapeutico della riabilitazione nelle persone?
«Qualora questa nuova prospettiva si affermasse, sposterebbe nel tempo l’impatto e l’utilità della riabilitazione per le persone. Potremmo infatti parlare dell’importanza terapeutica dell’esercizio fisico sin dall’esordio di malattia, visto che avrebbe da subito un impatto sul funzionamento del sistema immunitario e non soltanto un impatto sul trattamento dei sintomi una volta che si sono verificati o stabilizzati. In fase iniziale, per essere più precisi, dovremmo parlare di ‘esercizio terapeutico’ e non di ‘riabilitazione’, non essendoci ancora una disabilità da riabilitare. Ma si seguirebbe comunque la stessa logica utilizzata per i trattamenti farmacologici: così come si ritiene oggi che i trattamenti convenzionali debbano essere iniziati il più precocemente possibile, perché è quella la finestra terapeutica in cui possono esplicare al meglio il loro potenziale, così credo che arriveremo un giorno a convincerci che anche per l’esercizio terapeutico debba valere la stessa logica».

 

Ma come si potrà dimostrare in modo risolutivo questo effetto ‘modificante malattia’ della riabilitazione?
«Una dimostrazione simile non potrà che venire da un trial clinico definito esattamente nel modo con cui vengono pensati e disegnati i trial clinici sui farmaci. Questo è l’obiettivo che sta cercando di perseguire l’iniziativa della MS progressive Alliance, in cui AISM è in prima fila».

 

Una riabilitazione di questo tipo potrà essere un diritto e un servizio per tutti?
«Così come accade per i trattamenti farmacologici, una volta che avremo la dimostrazione che la riabilitazione modifica l’andamento di malattia potremo avanzare la richiesta che venga fornita gratuitamente e sistematicamente a tutti coloro che ne necessitano e arrivare ad avere in tutta Italia adeguati livelli di continuità del trattamento riabilitativo, sin dall’esordio di malattia».