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01/03/2010

Intervista al professor Zamboni

Incontriamo il professor Paolo Zamboni che ci parla di CCSVI e SM e dei percorsi fut uri della ricerca.

Quali ricerche nell’immediato futuro?
Stanno partendo due studi secondo me molto importanti.
Il primo studio è uno studio di trattamento che avrà un disegno randomizzato, secondo il quale  con alta probabilità un gruppo piuttosto numeroso di pazienti con sclerosi multipla di tipo recidivante remittente andrà incontro ad un esame angiografico selettivo, che darà loro la possibilità di conoscere con esattezza se hanno o no la CCSVI , e poi, con un disegno che si chiama randomizzato, una metà di essi scelti a caso (per questo motivo lo studio è definito randomizzato),  sarà sottoposto ad un intervento di angiodilatazione, mentre l’altro gruppo non lo sarà.
Entrambi  i gruppi verranno sottoposti ad un esame ecodoppler, che ci darà la possibilità di usare in futuro un metodo diagnostico non invasivo. Tutte queste persone manterranno la loro terapia per la sclerosi multipla. Si andrà poi a valutare un endpoint molto importante, che è quello della prevenzione della disabilità. Quindi non solo il miglioramento di quella che è la condizione della malattia monitorata con la risonanza magnetica, ma anche un effettivo miglioramento di quelle che sono le condizioni fisiche e cognitive dei soggetti. Questo è un primo studio di cui valuteremo poi la numerosità, la metodologia, ecc..
L’altro studio parimenti importante, è uno studio in cui persone altamente qualificate che si occupano di neurosonologia, quindi di esami doppler dei vasi in questo caso venosi, che drenano il cervello e il midollo spinale, valuteranno non solo pazienti con sclerosi multipla, per verificare la presenza della CCSVI, ma anche pazienti con altre malattie neurologiche, o disordini neurodegenerativi e controlli sani. Alla fine sarà uno studio multicentrico, che darà l’opportunità a moltissimi soggetti di queste tre categorie di conoscere se hanno o meno la CCSVI, e quindi di prendere il polso di questa nuova patologia, dei suoi rapporti con la sclerosi multipla e, con altre malattie neurologiche, nell’ambito del nostro paese. Anche dal punto di vista epidemiologico questo studio è importante.
Entrambi gli studi vedranno l’importante partecipazione, sia come egida, sia come supporto finanziario, dell’Associazione Italiana Sclerosi Multipla e della Fondazione ad essa correlata e da esse mi aspetto un significativo contributo.

Quali aree la ricerca scientifica lascia aperte che ritiene debbano essere esplorate e con quale priorità?
Lascia aperte moltissime aree, per cui oltre agli studi che abbiamo citato, la ricerca dovrà colmare la distanza che c’è in questo momento, solo apparentemente a mio avviso, tra la CCSVI e quello che si sa sulla sclerosi multipla. Noi dobbiamo quindi fare ricerca con diversi approcci originali che possono essere di tipo strumentale, biologico e genetico, per creare sempre di più un link fra la CCSVI e la sclerosi multipla. Questo ci aiuterà ulteriormente a comprendere i meccanismi che sono  alla base della sclerosi multipla e quindi  conseguentemente ci renderà ancora più forti nella nostra capacità di affrontare la sclerosi multipla.

Le aspettative delle persone sono anche sul singolo sintomo, sulla qualità di vita. Cosa possiamo dire?
Questa è una bella domanda. Nello studio che andremo a progettare, naturalmente, come capita sempre in tutti gli studi, ci deve essere un endpoint primario e degli endpoint secondari. Tra gli endpoint secondari io cercherei di includere quelli che non sono in questo momento trattati da nessuna terapia. Per esempio, una cosa che abbiamo visto che migliora in un modo assolutamente costante e in modo anche considerevole nella maggior parte delle persone che hanno fatto il trattamento dell’angioplastica, è l’affaticamento cronico, di cui poco si sa anche sull’origine e che i nostri dati preliminari proporrebbero come sintomo della CCSVI nella sclerosi multipla. Quindi quello è un endpoint secondario solo sulla carta, di fatto rappresenta un sintomo altamente disabilitante nella qualità della vita del paziente con sclerosi multipla L’angioplastica pare possa anche migliorare altri sintomi della SM quali la memoria di lavoro, la qualità del sonno e anche la cefalea, specialmente la cefalea notturna nella posizione supina.

Una delle domande che fanno le persone è: quali possono essere gli effetti collaterali e i rischi associati con l’intervento e questi rischi  ci sono al di fuori della sperimentazione clinica controllata?Uno dei suggerimenti che aveva dato è: “ci muoviamo in questo prossimo periodo all’interno di studi clinici controllati”, cioè niente cliniche private, niente speculazioni, ecc.. 
All’interno degli studi controllati i rischi esistono comunque, perché tutte le volte che si fa qualcosa di invasivo c’è sempre una percentuale di rischio. Nel trattamento di dilatazione che noi abbiamo pensato, i rischi possono essere di tipo trombotico o emorragico. Quelli di tipo trombotico, (che comunque non era così piccolo come dicono) e anche nel secondo studio fatto a Buffalo, abbiamo visto che con una profilassi con eparina a basso peso molecolare vengono praticamente ad essere scongiurati. Le emorragie che noi abbiamo rilevato sono emorragie minori, solamente nel punto dell’iniezione. Poi esiste un rischio potenziale da mezzo di contrasto e questo, come i pazienti sanno, esiste un po’ con tutte le metodiche che usano questa tecnica. La frequenza di questi rischi, anche al di là dei nostri studi, è effettivamente molto bassa, in quanto in totale, mettendo assieme complicanze  maggiori e minori, è  inferiore al 3%. Non mi azzarderei in questo momento a fare delle cose più eroiche. Quello che potremmo fare invece come sperimentazione, non solo per la sclerosi multipla, ma anche per qualunque tipo di alterazione di tipo stenotico venoso, quale CCSVI, è valutare nuovi materiali e nuove tecnologie per migliorare ancora di più i risultati rispetto agli studi pilota.

Ritiene che la CCSVI rende i trattamenti farmacologici attualmente in uso non più utili o che vadano sospesi?
No assolutamente. L’aspettativa del farmaco da togliere io vorrei proprio non considerarla perché è un’aspettativa che adesso francamente non ha nessun senso.  Noi dobbiamo valutare se, una volta che è stato individuato un ulteriore fattore potenzialmente in relazione con lo sviluppo della malattia, la correzione di questo fattore possa aumentare ancora di più l’arsenale che noi abbiamo a disposizione contro la sclerosi multipla. Cioè dobbiamo cercare di usare tutto quello che noi abbiamo in questa fase per poter abbattere quella che è la progressione verso la disabilità, che in questo momento nessun tipo di terapia è in grado di assicurare. Quindi bisogna pensare a usare una combinazione di diverse terapie, armonizzarle tra di loro e non di toglierne. Nel tempo poi si potrà provare a vedere quali terapie potranno essere tolte o migliorate, questo sicuramente, però è un lavoro ancora successivo, che richiederà molto tempo. Nel prossimo futuro credo che invece ci sarà un mantenimento dei farmaci e l’aggiunta di questo trattamento.

Cosa risponde alle persone con sclerosi multipla che si chiedono che cosa si possono aspettare dal servizio sanitario nazionale domani?
Questa è una bellissima domanda. Io comincerei col dire cosa io penso che ci sia nel futuro. In questo momento noi possiamo offrire questi studi, che però hanno cambiato completamente lo scenario della malattia anche rispetto solo un anno fa. Il primo studio, ci darà una prima notizia: se l’esame ecoDoppler si correla  con l’angiografia, che è il gold standard con cui noi vediamo se c’è un problema vascolare. Ciò darà alle persone  la certezza di avere una condizione di malattia vascolare associata alla sclerosi multipla, con un esame non invasivo. Lavorando bene la parte diagnostica potrebbe essere disponibile in molti centri distribuiti nel territorio nazionale entro l’anno. Lo studio terapeutico finirà per forza di cose invece fra due anni, e in tutta sincerità la mia aspettativa è che porti come regalo una nuova aggiuntiva arma efficace contro la SM.

Abbiamo parlato degli studi italiani. Il Servizio Sanitario Nazionale potrà più facilmente riconoscere la procedura diagnostica, ma quando potrà avere la dimostrazione dell’efficacia dell’intervento?
Sono a conoscenza che ci sono anche delle regioni che vogliono partire, anche indipendentemente da questo primo studio, con studi loro. Ho avuto parecchi contatti, quindi può anche darsi che lo scenario si amplifichi e che ci siano più studi, ma non solo studi in Italia, bensì probabilmente anche nel mondo. Quindi potremmo collezionare, ad interim, una quantità di dati, che in questo momento non siamo neanche in grado di conoscere, che potrebbero portare, se positivi, anche un’accelerazione ulteriore. Sono a conoscenza di studi che ci saranno negli Stati Uniti, in altri paesi d’Europa e addirittura in altre regioni di Italia. Questi probabilmente potrebbero valutare anche altre tipologie di pazienti che non siano solo i recidivanti remittenti, oppure concorrere con un’analisi ad interim ad avere una numerosità di campioni molto alta, che ci dia delle evidenze così schiaccianti anche in tempi minori. Ciò che voglio dire è che lo scopo di una nuova terapia non è quello di sopprimere una terapia esistente, ma può anche essere quella di amplificare l’efficacia di una esistente. Il punto di arrivo finale è arrivare a prevenire efficacemente la disabilità, non quello di sospendere i farmaci.


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