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Questa sono io, Ilaria. Con la mia SM, la mia vita, la mia voglia dei giusti diritti

Ho imparato negli anni a vivere la mia fragilità come una fonte di forza, la forza della debolezza, che per me è una spinta a vivere intensamente ogni giorno, senza arrovellarmi, come facevo prima della diagnosi di SM, su questioni poco importanti. E poi ho da poco cambiato un lavoro che mi estenuava e non riconosceva i diritti legati alla mia condizione. Ora faccio un part time, guadagno meno, ma mi sento finalmente tutelata, ho i diritti che devo avere. E posso pensare anche a me stessa, alla mia salute.

29/11/2021

 

 

Eccomi qua. Sono stesa sul letto con i piedi alzati dai cuscini, e sopra le gambe un tavolino con il computer perché devo lavorare. I dolori neuropatici ai piedi sono abbastanza forti. I medici mi dicono che è normale, è uno dei possibili effetti della SM, e io ormai so che sono parte del ‘pacchetto regalo’. Perché così che l’ho soprannominata la SM: il mio ‘pacchetto regalo’. Del resto, si sa che molti regali non sono sempre apprezzati da chi li riceve, e questo per me è sicuramente uno di quelli che non avrei voluto ricevere.

Ma tant’è…. Ormai mi sono abituata, l’ho accettata e ci convivo.

Anzi, ci vivo. Non mi sono negata niente di ciò che desideravo, sinora. Ho conosciuto mio marito in Belgio, a un matrimonio di amici comuni. Non ci siamo più lasciati, lui è venuto dal Belgio in Italia, vedi che casini combino: siamo insieme da 25 anni e sposati da 18. Ogni tanto gli dico che è un santo, che se vuole può provare a rottamarmi, anche se temo che nella permuta gli daranno poco. Ma lui mi dice che vuole tenere me, così come sono. Abbiamo due figli: la più grande ha 15 anni, il più piccolo dieci. Con lei ho dato nome e cognome alla mia sclerosi multipla, col piccolo ancora no. Sanno che prendo delle medicine, che devo andare regolarmente in Ospedale per fare dei controlli, che a volte sono così stanca che mi confondo con i cuscini del divano. Qualche volta la grande mi abbraccia forte, come quando ha visto la puntata di DOC, la serie con protagonista Luca Argentero, in cui hanno diagnosticato la sclerosi multipla a un ragazzo. Per il resto mi vedono vivere a pieno.

 

La mia vita spesa bene, la mia voglia di avere i diritti che mi spettano.

Vedono che vado a fare danze popolari una volta la settimana. Vedono che vado in palestra come tante altre persone. E mi vedono lavorare: sono una giornalista e oggi gestisco un sito web. Quando ho avuto la diagnosi, nel 2005, lavoravo da un anno per una società editrice che pubblica siti web e testate periodiche.

Per 17 anni ho dato la vita per il lavoro. Sono andata a un evento da noi organizzato a Siviglia mentre ero sotto cortisone dopo una ricaduta. Alla fine del 2019, dopo quattro giorni tiratissimi all’evento internazionale da noi organizzato a Milano, sono svenuta di stanchezza durante la serata di gala. La musica andava e io ero sdraiata sul divano: è arrivata l’ambulanza, poi mi hanno lasciato tornare a casa con mio marito, che nel frattempo avevo chiamato. E tutto questo sempre da free lance, senza permessi legati alla Legge 104, senza trattamento di fine rapporto. Senza i diritti cui avrei avuto totale diritto. Tutto questo, nonostante il mio   capo fosse a conoscenza del mio problema fin dall’inizio, nel 2005. A un certo punto, a 46 anni, mi hanno anche diminuito del 30% la remunerazione già non eccezionale, perché la pandemia aveva stoppato tutti gli eventi di comunicazione. E allora ho detto basta: non è questa la vita che voglio fare, non ci sto dentro. Non voglio più dovere chiamare l’ambulanza perché vengo messa in condizione di svenire per dei ritmi lavorativi assurdi, che male si conciliano con la mia fragilità. Adesso ho un altro lavoro, un contratto regolare, anche se part time. Guadagno meno, ma sono più felice. Mi sento finalmente tutelata, ho i diritti che devo avere, mi pagano per quello che faccio. E posso pensare anche a me stessa, alla mia salute, e tutelarmi.

 

 

Io e la sclerosi multipla

La SM è ormai una mia compagna di vita dal 2005: a 30 anni, nel pieno della costruzione di progetti di vita - come è normale a questa età – mi è arrivata la fatidica diagnosi. Era un periodo molto intenso di lavoro, passavo ore davanti al computer, e quando ho cominciato a vedere meno da un occhio non ci ho badato più di tanto. ‘Sarà la stanchezza’ mi dicevo. Ma il disturbo cresceva giorno dopo giorno, vedevo solo i contorni ma non il ‘centro’ delle cose. Così è iniziato tutto: visita oculistica, campo visivo (disastroso…), risonanza magnetica, che ha evidenziato le famose ‘lesioni demielinizzanti’. Non so voi, ma io, nonostante mi consideri una persona di media cultura, senza studi medico-scientifici, non avevo spesso sentito parlare di mielina e quindi quando sono andata a vedere sul web di che cosa si trattava mi è crollato il mondo addosso. ‘Lesioni demielinizzanti = sclerosi multipla. E sclerosi multipla, allora, mi è sembrata la prima parte dell’equazione che, dopo l’uguale, porta scritto “sedia a rotelle”. Perché è così che succede: se si va su internet quello si trova. Il ricovero in ospedale, con tutti gli esami annessi e connessi (liquor, pev, etc..), conferma la diagnosi: inizio di sclerosi multipla.
Una legnata in testa: i primi mesi mi sentivo come se me ne avessero tirata una bella forte e per riprendermi non ho potuto fare altro che prendere degli psicofarmaci, da sola non ce l’avrei mai fatta. La cosa più difficile era accettare che quella che io ero stata fino a quel giorno, quell’Ilaria, diventava d’un colpo, senza che avessi chiesto nulla, “Ilaria  +SM”. Era inaccettabile all’inizio, lo ammetto. E perché mai avrei dovuto accettarlo? All’inizio non è stato per niente facile accettarla e ‘normalizzare’, cercare cioè di dare un senso, a una situazione che di fatto di normale non aveva molto, come mi ricordavano anche le reazioni delle persone a cui lo dicevo.

 

Una vita il più normale possibile, nonostante tutto

Dopo pochi mesi, però, la voglia mia (e di mio marito) di costruirci una famiglia e continuare a vivere il più possibile normalmente ha prevalso. Nel 2006 ho avuto la mia prima figlia, seguita poi nel 2011 dal secondo. Per me era assolutamente naturale: i medici mi avevano detto che avrei potuto averli, mettendo in conto un peggioramento della malattia dopo i parti. Così è stato nei due casi, con l’aumento delle lesioni e la necessità di sopire l’infiammazione con il cortisone. Mai però ho voluto rinunciare a questo progetto di vita, alla mia famiglia.

 

 

 

Non sono coraggiosa. Rispondo in modo anche piccato a chi mi definisce tale: sono semplicemente una donna che vuole vivere la sua vita nel modo più normale possibile. E per fortuna, lo stato della mia malattia me lo permette. In 16 anni ho avuto in tutto 4 ricadute (due dopo i parti), non ho alcuna limitazione fisica se non quella della spossatezza e, da circa un anno, dei dolori neuropatici ai piedi. Se non lo dico, la gente non lo sa che ho un problema di salute. Mi piace dire che io e la SM viviamo da ‘separate in casa’: io faccio la mia vita e per lo più delle volte non la sento. Solo quando decide di palesarsi allora mi ricordo che c’è anche lei ‘in casa’, cioè nel mio corpo.

Però: c’è un però. Lo stare bene in persone come me che non riescono a stare ferme un secondo rende più difficile rendersi conto che le energie si esauriscono, con il risultato che, come succede ai device elettronici, si scarica totalmente la batteria, e noi ci spegniamo. Soprattutto, ci rendiamo conto che, nonostante possiamo vivere come se la malattia non ci fosse, in realtà c’è eccome, e ogni tanto non manca di ricordarcelo.

Detto questo, non mi stancherò mai di dire che posso solo considerarmi fortunata di avere una forma lieve a ricadute e remissioni, che fino a oggi non mi ha dato grossi problemi, e non voglio sembrare offensiva agli occhi di chi invece ha a causa di questa malattia degli oggettivi handicap fisici che limitano fortemente la conduzione di una vita normale.

 

La forza della debolezza

In tutto questo quadro, ho imparato in questi anni a vivere questa mia fragilità come una fonte di forza, appunto la forza della debolezza, che per me è una spinta a vivere intensamente ogni giorno, senza arrovellarmi, come facevo prima della diagnosi, su questioni assurde e poco importanti. Quello che contra davvero per me oggi è la mia famiglia, i miei bambini, potere occuparmi di loro e accompagnarli nella loro crescita, e mio marito, perfetto compagno di vita che mi sta accanto sempre. Anche se parla poco, lui c’è. E questo non ha prezzo. Certo, ogni tanto mi sento un pulcino, fragile e spelacchiata, ma tante volte mi sento un leone, forte e orgogliosa: di quello che sono, nonostante la malattia, e forse anche grazie ad essa.
 

E poi c’è AISM

Tanti anni fa, quando ne ho avuto bisogno, AISM c’è stata, al mio fianco. In AISM avevo trovato anche il supporto psicologico che cercavo. Per questo non ho mai mancato di essere socia di AISM. Mi dicevo anche che potevo mettermi in gioco anche io in Sezione, ma poi il lavoro mi assorbiva tantissimo. Fino a quando, proprio lo stesso anno in cui sono svenuta sul lavoro per stanchezza, mi sono offerta per distribuire prima le Mele di AISM e poi panettoni e pandori. Mi sono divertita, stancata, ma ho distribuito tantissimi panettoni e pandori. E l’esperienza, in qualche modo, mi ha aiutato a scegliere di spendermi e fare anche fatica per chi lo merita, per essere l’Ilaria che voglio. In AISM siamo tutti persone “con”. Persone con SM, persone con persone, persone con un proprio valore e ruolo.