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23/03/2021

«Una ricerca partecipativa e anticipatoria»: oggi il progetto Multi-Act conclude ma non chiude il suo viaggio

 

Si è svolta oggi la conferenza finale del progetto The MULTI-ACT model: the path forward for participatory governance in health research and innovation, ambizioso e fecondo progetto triennale di innovazione e ricerca responsabile finanziato dalla Comunità europea. Per approfondire il valore del progetto, il percorso effettuato, gli approdi e il futuro di questo «viaggio» abbiamo intervistato Paola Zaratin, Direttore ricerca scientifica FISM, che ha proposto e coordinato il progetto.

 

 

Dottoressa Zaratin, perché AISM ha proposto il progetto MULTI-ACT? Che valore ha avuto per l’associazione coordinare un percorso di ricerca che ha coinvolto molti attori diversi e avuto nella Comunità europea il proprio finanziatore?

«AISM è, da sempre, movimento e organizzazione. Agisce come un’organizzazione e pensa come un movimento. Nasce dalle persone con sclerosi multipla e fa parte del grande movimento internazionale della SM, della Federazione Internazionale Sclerosi Multipla (MSIF) e della Piattaforma Europea della SM (EMSP). Insieme, l’Associazione agisce come un’organizzazione forte, strutturata, capillare, aperta all’innovazione, per dare a tutte le persone con SM le risposte di cui hanno bisogno.

 

Il progetto MULTI- ACT, nel suo stesso nome, nasce dallo stesso principio ispiratorio e indica questa direzione, l’imperativo ad ‘agire’ (ACT) come un’organizzazione e pensare come un movimento di simili e di diversi (MULTI). AISM ha dimostrato in questi anni di essere il soggetto ideale per proporre e coordinare un progetto che investe in nuovi strumenti di gestione dell’ecosistema della ricerca. La comunità europea ha avuto il grande merito di fornire strumenti economici e strategie (Programma H2020 di Ricerca ed Innovazione Responsabile) per costruire strumenti di governance della ricerca che rendessero i diversi attori corresponsabili nell’affrontare le sfide sempre più complesse e urgenti che il tempo impone».

 

 

In quest’anno, che ha segnato la storia con la pandemia dovuta al Covid-19, abbiamo chiesto alla ricerca di salvarci. In che modo l’approccio di ricerca responsabile di MULTI-ACT si intreccia al momento che stiamo vivendo ?

«Oggi più che mai è chiaro che la ricerca non ha come unico scopo il ritorno economico e non ha come unica preoccupazione il fallimento economico, ma ha come principio strategico il miglioramento e la tutela della vita personale e sociale. E lo può fare solo attraverso il coinvolgimento della società, degli stessi pazienti. MULTI-ACT ha dato validità e sostanza a questa visione, sviluppando un modello per gestire la ricerca in modo da produrre un impatto non solo in termini di eccellenza della pubblicazione o di ritorno economico dell’investimento, ma anche sociale, attraverso il coinvolgimento delle persone colpite dalla SM, per impattare su quello che conta di più per loro».

 

Una delle colonne portanti di MULTI-ACT era la messa a punto di un nuovo modo di coinvolgere le persone con sclerosi multipla. Come è andata a finire?

«Quando si parla di salute, specialmente in momenti di tragica emergenza come quella della pandemia, è decisivo che la persona che vive una condizione di malattia sia ammessa al tavolo delle decisioni: solo così possiamo essere sicuri che una ricerca abbia impatto sulla sua qualità di vita. Ma perché la prospettiva della persona diventi importante per tutti gli altri, ricercatori, industria, istituzioni, società civile, bisogna che non sia un racconto puramente individuale ma che sia collettiva e misurabile e, per questo, scientifica. Perciò MULTI-ACT disegna una “scienza della persona” e “con la persona”, attraverso cui offrire a tutti gli attori in gioco strumenti per misurare l’efficacia del rispettivo contributo. Rendere scientifico il coinvolgimento della persona significa non solo “metterla al centro” dell’interesse degli altri ma fare in modo che stia al tavolo con tutti gli altri attori. Ci stiamo spostando dal dogma del “paziente al centro” verso il paradigma “del paziente al tavolo”».

 

E come fa concretamente MULTI-ACT a mettere “la persona con SM” al tavolo della ricerca in modo scientifico?

Per rendere praticabile una vera “scienza della persona e con la persona” MULTI-ACT, tramite apposite Linee Guida, ha messo a fuoco un elemento di novità che abbiamo chiamato “engagement coordination team”. In italiano potremmo definirlo “team di coordinamento dell’impegno di partecipazione” dei diversi attori. È un nuovo organo di gestione della ricerca e deve avere al suo interno una rappresentanza di persone con SM che a loro volta sono impegnate a coinvolgere sistematicamente altre persone con SM che hanno competenze e caratteristiche specifiche per realizzare la missione, l’agenda, il progetto in cui questo comitato è stato sviluppato. Sino ad oggi era difficile rendere scientifica la “voce della persona” e misurabile la “scienza del paziente” perché nel migliore dei casi si avevano contribuiti e prospettive individuali che, in quanto tali, non rappresentavano scientificamente e realmente i bisogni e le prospettive di una certa popolazione di persone con SM».

 

 

Che ruolo giocano le associazioni come AISM nella messa a terra di questo tipo di organismi all’interno dei progetti di ricerca?

«Un ruolo fondamentale: promuovendo questo strumento organizzativo e di gestione della “scienza con e della persona”, le associazioni come AISM contribuiscono a trasformare quella che potrebbe essere la prospettiva individuale del singolo paziente in una prospettiva collettiva, dandole così la dignità di diventare scientifica e di essere utilizzata da tutti gli altri stakeholder come strumento per misurare l’impatto della ricerca sulle persone».

 

Possiamo fare esempi? Ci sono iniziative o progetti che già adottano questo modello di “scienza della persona e con la persona”?

«A livello internazionale questo approccio è stato inserito nella strategia della Progressive MS Alliance Alliance, che ha come obiettivo quello di velocizzare lo sviluppo di terapie per curare la progressione della SM e dell’iniziativa PROMS, che ha l’obiettivo di valorizzare i Patient Reported Outcome, le misure di esito dei trattamenti riportate direttamente dalle persone coinvolte. Altri due progetti sono italiani: uno, coordinato dal professor Giuseppe Matarese, è legato alla comprensione dell’importanza della dieta nella SM; l’altro si intitola My Mood ed è un progetto in cui uno dei ricercatori è Federico Bozzoli, persona con SM. È dedicato allo sviluppo di nuove misure di scale riportate dal paziente per la misurazione dell’umore, un aspetto non misurato come vorremmo dagli strumenti attualmente disponibili. In questi tre percorsi il primo passo è stato instaurare come nuovo strumento di gestione della ricerca, questo “engagement coordination team”».

 

In tempo di pandemia abbiamo toccato tutti con mano quanto sia decisiva una comunicazione semplice, efficace ed esatta della scienza, perché le persone capiscano bene cosa c’è in gioco e scelgano bene come comportarsi. MULTI-ACT cosa ha fatto, nel suo percorso, per fare crescere anche la comunicazione della ricerca?

«MULTI-ACT ha lavorato su quel modo di comunicare la scienza che chiamiamo “outreaching”. Lo possiamo tradurre con “sensibilizzazione” o “allargamento” dell’adesione al progetto di riferimento. Oggi non possiamo più comunicare la scienza solo per informare ma dobbiamo imparare a farlo per coinvolgere, a diversi livelli: per rendere consapevoli le nostre comunità di riferimento, per avere informazioni dalle persone su cui il progetto fa ricerca, per co-creare con le nostre comunità ciò che il progetto deve fare. Questo approccio dà fondamento e validità anche alla comunicazione digitale, facendone non un elemento non distruttivo ma innovativo, per un’innovazione consapevole».

 

MULTI-ACT si conclude oggi ma non finisce qui: come continueremo a valorizzare il viaggio compiuto in questi tre anni?

«La Comunità Europea ha chiesto di fornire un percorso di valorizzazione dei risultati raggiunti: potrebbe essere lo spunto per un ulteriore viaggio, un MULTI-ACT 2.0, che costruisca nuovi tragitti o nuove collaborazioni con altri progetti europei nell’ambito della “brain heath”, della “salute del cervello”, che vogliano utilizzare il modello di MULTI-ACT.  Un esempio del percorso che abbiamo immaginato per dare futuro a MULTI-ACT riguarda l’adozione di modelli formativi a livello accademico, universitario, educativo, che insegnino l’uso degli strumenti di ricerca responsabile messi a punto nel percorso che abbiamo effettuato».

 

 

La “M” del logo di MULTI-ACT ha cinque punte: eccellenza della ricerca, efficacia orientata alla missione, efficienza, partecipazione delle persone coinvolte nella condizione di malattia, impatto sociale. Per ciascuna sono stati sviluppati indicatori di impatto: che futuro avranno queste connessioni?

«Abbiamo iniziato con l’esempio della SM, ma in futuro si dovrà consolidare questo approccio per altre malattie neurologiche e per altri settori della salute. Ma soprattutto in futuro sarà prezioso consolidare o confermare i diversi tipi di indicatori dell’impatto nati dentro MULTI-ACT anche in altre realtà organizzative, come quelle del Terzo Settore».

 

In un’ideale pubblicazione scientifica  che vada a rendicontare ciò che multiact ha costruito, quale potrà essere il titolo e l’ultima frase?

«La pubblicazione scientifica che abbiamo sottomesso si intitola: “una via per una gestione partecipativa e anticipatoria (anticipatory governance, in inglese) della ricerca sulle malattie neurologiche”. Il viaggio di MULTI-ACT può insegnare a governare la ricerca e le diverse sfide che abbiamo nel campo della salute in modo partecipativo e anticipatorio. Non dobbiamo solo essere bravi a collaborare ma ad anticipare i cambiamenti necessari. AISM, come altre organizzazioni sociali, tipo la Protezione civile, sono state capaci di portare un contributo significativo durante la pandemia perché avevano già imparato a partecipare e ad anticipare il cambiamento. Usare questo modello di ‘ricerca partecipativa’ e insegnare a usarlo servirà a promuovere un unico ecosistema tra ricerca e cura, che è stato fondamentale per affrontare emergenze come quelle della pandemia».

 

La scienza è collettiva ma ci coinvolge sempre come persone, fino in fondo. Sul piano personale cosa ha insegnato a Paola Zaratin il viaggio di MULTI-ACT?

«Grazie per la domanda. Sono arrivata all’AISM dopo   anni di ricerca nel campo delle malattie neurodegenerative, all’Università prima e poi nel Privato e negli ultimi 20 anni sulla sclerosi multipla . Per me MULTI-ACT è stato come la sintesi delle diverse prospettive in cui ho affrontato nella vita la sfida di una ricerca che possa cambiare la vita delle persone. Dopo 3 anni di percorso, il concetto di ricerca responsabile è entrato di più nel mio stesso DNA: ho imparato meglio a lavorare con rappresentanti di categorie e discipline diverse. Ho imparato che quello che viene da attori con competenze diverse è molto arricchente. Ho imparato quanto la voce delle persone con SM ci guida verso un nuovo concetto di “scienza”. Voglio perciò essere ottimista: MULTI-ACT ha sviluppato una cassetta di attrezzi per una ricerca responsabile che, se sapremo mettere a sistema, cambieranno la qualità di vita delle persone con SM».