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04/12/2020

Congresso FISM. La scienza delle connessioni

 

Il tema della Giornata Mondiale della SM 2020 dello scorso maggio, «Connecting MS», ci ha insegnato che c’è una responsabilità condivisa, collettiva nel dare risposte alla vita delle persone con sclerosi multipla, richiamando tutti alla necessitò di lavorare insieme facendo ciascuno e fino in fondo la propria parte. E ora il titolo del Congresso FISM 2020 Connect to the future: our research of excellence, che si è svolto in modalità virtuale il 26 e il 27 novembre, è ancora più esplicito, nel suo appello: «connettiamoci al futuro tramite l’eccellenza della ricerca», che potremmo anche intendere come «la nostra ricerca dell’eccellenza è la chiave per connetterci a un futuro di libertà dalla sclerosi multipla».

 

Il futuro della cura e della salute possono nascere solo da una ricerca “orientata alla missione”, capace di rispondere in modo sistematico all’agenda dettata dagli aspetti che contano di più per le persone che affrontano la malattia e di coniugare in unità le diverse priorità degli stakeholder coinvolti nella ricerca, l'eccellenza scientifica, l'efficienza economica e l'impatto sociale.

 

Mai come in questo periodo difficilissimo è diventato evidente a tutti il valore insostituibile e l’enorme impatto sociale di questo tipo di ricerca, come ha ricordato il Presidente FISM Mario A. Battaglia: «la pandemia dettata dal COVID-19 – ha affermato – ha messo alla prova la resilienza dei sistemi sanitari, di cura della salute, ma anche sociali ed economici, mettendo in evidenza come le risposte necessarie arrivino da una ricerca responsabile costituita tramite ampie connessioni tra i diversi attori».

 

Per dare contenuti a questa visione, al Congresso sono intervenuti il Ministro della Ricerca Gaetano Manfredi e il Direttore Generale della Ricerca e dell’Innovazione in sanità del Ministero della Salute, Giovanni Leonardi. Anche la consegna del Premio Rita Levi Montalcini 2020 è stata nel segno delle connessioni: eccezionalmente quest’anno il Premio non è andato a un solo ricercatore ma, per la prima volta, a tre ricercatrici “connesse” da una lunga storia di ricerca clinica ma anche di presa in carico quotidiana delle domande delle persone con SM nei Centri clinici SM, che le ha portate nei mesi della pandemia a impegnarsi nella ricerca sull’impatto del COVID-19 nella SM, un impatto particolarmente drammatico nei territori di Brescia, Bergamo e Milano in cui le tre neurologhe operano.

 

In questo quadro strategico la prima parte del Congresso è stata dedicata ad esplorare tutte le possibili “connessioni” che possono costruire sempre di più, per l’intero sistema italiano e internazionale, una ricerca efficacemente orientata alla missione. Partendo dalle possibili connessioni “biologiche” che dentro la singola persona e, ancora più nel dettaglio, dentro la singola cellula possono aiutare a comprendere e costruire risposte per la sclerosi multipla, per affrontare poi le preziose connessioni che gli scienziati vanno scoprendo tra malattie diverse fino ad arrivare alle connessioni necessarie tra diversi esperti di diverse discipline, non solo scientifiche e sanitarie. Con un centro che regola tutti questi collegamenti: la persona a cui il sistema ampio di reti e di collaborazioni deve rispondere attraverso un’autentica medicina personalizzata (vedi articoli successivi). Ma è la scienza con e della persona che sarà il motore di queste connessioni. Il Congresso ha dedicato un focus alla ricerca su COVID-19 e sclerosi multipla, uno alla ricerca sulle cellule staminali mesenchimali, uno sui progetti speciali per la neuroriabilitazione e le cure palliative nelle forme più avanzate.

 

Presentati, nei due giorni di lavoro, anche i progetti di ricerca terminati nel 2019 finanziati da AISM con la sua Fondazione tramite Bando annuale per la riabilitazione e la qualità della vita, la patogenesi e i fattori di rischio, la diagnosi e il monitoraggio della malattia, la ricerca traslazionale verso nuovi trattamenti.

 

Il Premio per il miglior Poster tra giovani ricercatori borsisti quest’anno è stato assegnato a Luca Peruzzotti-Jametti, Department of Clinical Neurosciences, University of Cambridge, UK. Il suo lavoro, presentato nel Poster «In vivo characterization and manipulation of succinate-dependent injury in neuroinflammation» è stato premiato per «per la progettazione innovativa dello studio, la scoperta dell'importanza del metabolismo infiammatorio nel guidare l'attivazione dell'infiammazione in EAE e il suo potenziale valore verso nuove terapie». Premiata anche la struttura logica e chiara del poster, la qualità dei risultati proposti. (link al testo dedicato).

 

Paola Zaratin, Direttore Ricerca Scientifica FISM, ha concluso: «Abbiamo vissuto due giorni intensi, di confronto scientifico, che hanno dato voce all’eccellenza della ricerca italiana e internazionale e alla sua capacità di innovare e di andare avanti, anche e ancora di più nel tempo della pandemia, nella conoscenza della malattia e nella ricerca di nuovi trattamenti. È emersa la capacità di AISM, a livello nazionale e internazionale, di giocare un ruolo di “lead agency” nel costruire percorsi di collaborazione e nuovi modelli di “engagement” di tutti gli stakeholder di riferimento a partire dalle persone con SM, sempre più centrali nei percorsi della ricerca, come evidenzia il progetto MULTI-ACT».

 

Il Professor Mario Battaglia, Presidente FISM, aggiunge: «Superando insieme tanti confini del passato, stiamo costruendo giorno dopo giorno l’unico mondo libero dalla sclerosi multipla con una ricerca responsabile che lavora per dare risposte alle persone e per dare sostanza a un sistema di cura della salute che consente a ciascuno di vivere una vita di qualità».

 

La ricerca orientata alla missione e i suoi collegamenti

Giuseppe Matarese: «Il motore che accende la vita. La connessione con la biologia del metabolismo intracellulare, una via per capire e affrontare la sclerosi multipla»

«In quel piccolo ma immensamente differenziato sistema biologico che è il nostro corpo – ha spiegato il professor Giuseppe Matarese, Università degli Studi di Napoli, Federico II – è impossibile controllare tutte le variabili biologiche contemporaneamente in gioco. E allora bisogna semplificare e trovare un punto di attacco che consenta di vedere in unità la complessità che ci fa vivere: tra DNA, RNA, proteine, struttura delle molecole, il punto di attacco di una visione biologica della persona utile a capire e affrontare la sclerosi multipla è il metabolismo intracellulare, quello che fa funzionare ogni singola cellula, il motore che tiene accesa la nostra vita».

 

Molte evidenze scientifiche, riscontrate dallo stesso Matarese e dal suo gruppo di ricerca negli ultimi 15 anni, dimostrano come nelle persone con sclerosi multipla il malfunzionamento delle cellule che regolano l’attività del sistema immunitario – a sua volta causa dell’attacco autoimmune che innesca la malattia -sia connesso, per esempio, con l’eccessiva presenza di una molecola chiamata “M-TOR”, una chinasi, un enzima che risulta molto attivato nelle cellule T regolatorie dei soggetti con SM. L’eccessiva espressione di questa molecola è a sua volta connessa con la presenza di leptina, una citochina infiammatoria prodotta dal tessuto adiposo. I grassi, come noto, sono la benzina che fanno funzionare il motore del nostro corpo: se mancano, ci fermiamo, se i loro livelli sono eccessivi, rischiamo di far bruciare il motore.

 

«Basandoci su questa visione scientificamente consolidata del metabolismo intracellulare, che ci insegna la biologia e vale per tutte le persone, sane o malate – ha concluso Matarese - abbiamo costruito un percorso di ricerca specifico per valutare se si possa ottenere un miglioramento dell’andamento della sclerosi multipla e una migliore risposta alle terapie attraverso un’adeguata riduzione calorica, in particolare rivolta a quei principi alimentari che favoriscono l’eccesso di metabolismo intracellulare riscontrato nella SM e le sue conseguenze sul funzionamento del sistema immunitario».

 

Ecco, dunque, una strada che connette la ricerca sulla SM al futuro: «anche se da secoli si conosceva, in forma empirica, la connessione tra funzione immunitaria  con lo stato nutrizionale e metabolico dell’individuo, fino a vent’anni fa immunologi e neurologi non si connettevano con le ipotesi dei ricercatori di chi si occupava di metabolismo. Oggi, come dimostrano anche i risultati di diversi studi selezionati e finanziati da FISM, presentati in questo stesso Congresso, è arrivato il tempo di rafforzare queste connessioni multisciplinari e multistakeholder, coinvolgendo gli stessi pazienti, per valutare come la biologia del funzionamento metabolico intracellulare possa consentire di controllare meglio l’andamento non solo della SM ma di diverse malattie» 

 

 

Marco Salvetti: «. La connessione tra malattie rende più facile capirle e curarle. Tutti per uno, uno per tutti ».

«Oggi la ricerca clinica segue un percorso codificato – ha spiegato il professor Marco Salvetti, Università Sapeinza, Ospedale sant’Andrea, Roma - : per passi successivi si cerca di identificare meccanismi biologici e target terapeutici prima in una ambito molecolare, poi cellulare e, successivamente, su modelli animali. Questo bagaglio di conoscenza deve poi essere trasferito all’uomo, e non sempre è facile perché ci sono differenze biologiche rilevanti con i modelli animali. Credo che si faccia ancora poco, e comunque non in modo altrettanto sistematico, per trasferire, allo stesso modo, la conoscenza da una malattia all’altra. La scienza ci porta evidenze sempre più convincenti sull’esistenza di meccanismi comuni fra malattie diverse. Le connessioni oggi scientificamente provate sono state messe in luce soprattutto dagli studi di genetica, ma capiamo anche che esistono a livello clinico. Sviluppare un approccio di studio sistematico che consenta di traslare le conoscenze da una malattia all’altra sarebbe molto importante per la ricerca clinica di nuove terapie. Soprattutto, sarebbe prezioso identificare connessioni tra malattie monogeniche o mendeliane, dovute alla mutazione di un unico gene, e malattie multifattoriali e complesse come la SM, dove ci sono tanti geni coinvolti e tanti fattori ambientali. I singoli meccanismi patogenetici sono molto meglio studiabili nella malattia monogenica e probabilmente è più semplice identificare una terapia che contrasti quell’unica causa. La conoscenza di questi meccanismi potrebbe essere traslata poi alla SM o ad altre malattie complesse. Eventuali terapie efficaci per contrastare quei singoli meccanismi potrebbero aiutare a identificare strategie terapeutiche combinate anche per malattie più complesse in cui siano in gioco in contemporanea quei diversi meccanismi patogenetici».

 

Questo tipo di connessione sarebbe di beneficio per la SM ma pure per quelle malattie monogeniche che spesso sono rare, riguardano poche persone e per le quali non si riesce a fare ricerca per mancanza di investimenti che possano avere ritorni. Ecco, allora una seconda importante connessione della ricerca al futuro: «Una ricerca multidisciplinare e multistakeholder ha bisogno di integrare in modo sistematico le conoscenze sui meccanismi comuni in azione in diverse malattie per riuscire a trattarle meglio tutte. Connettendoci – conclude Salvetti - possiamo vincere tutti insieme le rispettive battaglie».

 

 

Gianvito Martino: «multidisciplinarità, interdisciplinarità, transdisciplinarità. La scienza del futuro va oltre se stessa».

La complessità crescente del mondo e delle risposte chieste alla scienza sta cambiando anche il modo di fare scienza e ricerca, sta anzi cambiando le visioni su cui si regola. «Le diverse discipline bio-mediche – ha spiegato il professor Gianvito Martino, Università Vita e Salute, San Raffaele, MIlano- sempre di più hanno provato a mettersi insieme per migliorare la propria capacità di risposta, ma spesso mantenendo ciascuna la propria indipendenza. Di conseguenza non hanno ragionato rispetto al fine del progetto comune da realizzare ma hanno continuato a ragionare in base al fine della singola disciplina. Parliamo, in questo approccio, di multidisciplinarità. Un esempio, su cui ho lavorato per tutto il mio stesso percorso scientifico, in molti casi con il supporto di FISM, riguarda le cellule staminali: per svilupparle c’è necessità del neurologo, del neuro immunologo, ma anche del biologo cellulare e dello statistico, diverse categorie di specializzazioni coinvolte nella sperimentazione e nell’analisi dei dati. Un ulteriore sviluppo è nato con l’interdisciplinarità: in questo caso vari stakeholder e competenze si mettono insieme partendo da un’unica finalità o prodotto validi per tutti. Un esempio è la Progressive MS Alliance, perché in questo caso a generare l’alleanza tra diverse competenze è stata un’unica finalità valida per tutti i partecipanti, l’identificazione delle terapie ancora mancanti per curare le forme progressive di SM e del network in grado di generare quel prodotto. Interdisciplinare è il nuovo network dei “Virtual institute for responsible research innovation”», voluto dal Ministero della Salute, che coinvolge diversi IRCSS in oncologia, neurologia, neuroriabilitazione, cardiologia, patologie cardiovascolari, pediatrica, geriatria, ma anche un network dedicato alla “patient advocacy”, coordinato da AISM, che condividono piattaforme tecnologiche e grandi quantità di dati raccolti in modo standardizzato con una finalità uguale per tutti, implementare la capacità di innovazione della ricerca e avere un miglioramento della qualità del sistema di assistenza con la ricerca.

 

«Infine – aggiunge Martino- il modello del futuro che ci sta già venendo incontro è quello della transdisciplinarità, dove la connessione tra diversi parte da una visione olistica, globale nella quale insieme alle scienze biomediche entrano in gioco le scienze umanistiche, sociali, economiche. Esempi di ambiti unificante che travalicano i confini delle scienze biomediche sono l’intelligenza artificiale e le interfacce uomo-cervello, utilizzate anche per la riabilitazione, per le quali sono coinvolti il neurologo, il filosofo, l’antropologo, l’economista, lo psicologo. Ritengo che questo sia lo sviluppo che l’organizzazione della scienza ha davanti a sé: una ricerca che porti la scienza a superare i propri stessi confini è quella che avrà certamente un maggiore impatto sociale, quella che potrà cambiare la vita dei singoli e dell’intera comunità civile Questo sviluppo ha bisogno di investimento nella formazione. Non è più il tempo dell’one man show e neanche della one science show».

 

Giancarlo Comi: «la persona è il centro delle connessioni»

Della Progressive MS Alliance, della sua “mission” ha parlato anche il professor Giancarlo Comi (Università Vita-Salute San Raffaele, fondatore ed ex direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano), che ha proposto una panoramica completa delle diverse iniziative internazionali che connettono diversi stakeholder per finalità condivise. Parliamo, anzitutto, del percorso del progetto MULTI-ACT, finanziato dalla Comunità europea per migliorare l'impatto della ricerca scientifica sulla salute e la vita delle persone con disturbi neurologici, partendo dalla costruzione di un modello di efficace collaborazione di tutti gli stakeholder per definire gli scopi delle ricerche nell’ambito della salute e identificare nuove metriche per la valutazione dei risultati.

 

Nella stessa cornice di connessioni internazionali Comi ha ricordato anche il progetto della MS Care Unit, promosso dalla European Charcot Foundation per definire un modello di cura il più possibile interdisciplinare e all’avanguardia per le persone con SM: Alla definizione di questo modello unitario di cura, come nelle iniziative sopra citate, hanno collaborato anche pazienti, organizzazioni di pazienti, singoli cittadini e organizzazioni della società civile.

 

Perché – ha spiegato Comi – stiamo andare sempre di più nel tempo della medicina personalizzata, dove le strategie terapeutiche e di prevenzione dell’evoluzione delle malattie, soprattutto quelle complesse come la SM, sono costruite sempre di più in riferimento alla singola persona, che ha diritto ad avere la cura giusta nel momento giusto per la sua specifica situazione. E una medicina personalizzata può realizzarsi solo includendo sin dall’inizio nel processo decisionale la persona stessa del paziente.

 

In questo senso, preziosa è anche l’iniziativa internazionale PRO-MS, co-guidata dalla Federazione Internazionale SM tramite AISM e dalla Charcot Foundation, che riunisce la comunità globale della SM, le persone con SM, gli operatori sanitari e i ricercatori, l'industria sanitaria e molti altri attori, per definire strumenti e modelli attraverso cui includere in modo scientifico il contributo dei pazienti, la loro prospettiva e la loro esperienza con la malattia, nella ricerca scientifica, nelle sperimentazioni per lo sviluppo di nuove terapie e nella progettazione dei sistemi sanitari di cura.

 

Insomma, le persone sono al centro, anzi stanno diventando sempre più il centro di tutti i percorsi e le connessioni della ricerca scientifica per trovare la cura giusta per ogni persona. Come ha detto lo stesso Comi in conclusione: «la ricerca del futuro capace di dare risposte sempre migliori ai pazienti sarà certamente quella costituisce e opera in un sistema allineato alla medicina personalizzata con i pazienti al centro e al tavolo della ricerca».

 

 

Ludovico Pedullà e Federico Bozzoli: «i risultati che contano per le persone alla guida della ricerca»

«Un esempio piccolo ma concreto di come la ricerca debba sin dalle fasi iniziali partire da un lavoro di rete tra tutti gli stakeholder interessati e, in particolare modo, delle persone che sono gli “utenti finali” cui ogni ricerca deve dare risposte». Così Ludovico Pedullà (ricercatore FISM, vincitore del Premio Miglior Poster al Congresso FISM 2018) e Federico Bozzoli, ricercatore e persona con SM, inquadrano il progetto che stanno svolgendo intitolato «My mood», dedicato alla messa a punto di uno strumento specifico di autovalutazione dei diversi aspetti dell’umore nelle persone con sclerosi multipla. Pedullà ha spiegato, al riguardo: «Per sviluppare gli strumenti, le terapie, le strategie di cura che servono realmente alle persone bisogna che la ricerca integri a pieno titolo l’esperienza delle persone, raccogliendoli con una metodologia rigorosamente scientifica. Per questo parliamo di “science of patient input e with patient input». E Federico Bozzoli ha spiegato così l’ispirazione da cui è nato il progetto: «Io vivo la SM e ho tanti amici con SM che come me hanno un umore ballerino, per questo mi è sembrato importante indagare questo aspetto. In letteratura, poi, questi disturbi sono presenti maggiormente nella SM rispetto alla normalità. Per questo vanno studiati, ma partendo da quello che noi persone con SM viviamo direttamente. Il fatto di promuovere il coinvolgimento delle persone con SMnel progetto My Mood è per me un grande impegno, una responsabilità stimolante. La SM non è la foto di un monolite, ha mille sfumature. Bisogna che tutte le voci siano rappresentate, anche quelle che magari non vengono prese in considerazione. Nessuna persona e nessun aspetto, come può essere quello dell’umore, va lasciato fuori dal campo di interesse della ricerca».

 

Al di là dei risultati che stanno emergendo, nati da quanto hanno riferito 18 persone con SM coinvolte dallo stesso Bozzoli, la vera innovazione rappresentata da questo tipo di progetto è il percorso di co-creazione del progetto e del suo risultato: «La vera novità di questo nostro progetto sperimentale – spiegano Pedullà e Bozzoli - sta nell’avere usato un approccio scientifico nel coinvolgimento delle persone, costruito seguendo le Linee Guida pubblicate a maggio dal Progetto MULTI-ACT. Per ogni progetto di ricerca è necessario costituire un ‘engagement coordination team’, un gruppo di diverse figure, non solo ricercatori, ma anche pazienti, caregiver, professionisti di diverse discipline che, dopo un’adeguata formazione, seguono in modo trasversale tutte le fasi del progetto». Insomma la scienza nuova è quella in cui, in modo scientificamente solido, ricercatori, professionisti di varie discipline e persone con SM sono ingaggiati tutti insieme dal’inizio alla fine.

 

In tempi di pandemia, coinvolgere le persone con SM nella messa a punto di uno strumento per valutare l’umore ha certamente un’importante connessione di impatto sociale allargato oltre i confini della SM, perché tutti abbiamo dovuto fare i conti, e stiamo continuando a farli, con l’incertezza, il senso di precarietà, la fatica a mantenere un saggio equilibrio emotivo che il COVID sta imponendo alla vita individuale, economica, sociale del mondo intero. Come scrive il Compendio della Ricerca FISM 2020: «Nei tempi dell’emergenza Coronavirus, una delle lezioni che non dimenticheremo più è questa: la ricerca di eccellenza è un diritto primario e, insieme, è un dovere collettivo. Noi che siamo coinvolti nel mondo della sclerosi multipla, noi che siamo sempre in emergenza e da sempre facciamo ricerca per fronteggiarla efficacemente, abbiamo oggi nelle mani e avremo in futuro una bussola preziosa per tutti».

 

 

Nuove connessioni per capire l’impatto del COVID nella SM

Il Congresso FISM ha dedicato una tavola rotonda al tema tragicamente attuale del COVID-19. Una storia che non avremmo voluto vivere ma ci stai insegnando molto, come ha ricordato il professor Patti (Università degli Studi di Catania, Coordinatore del Gruppo di Studio sulla SM della Società Italiana di Neurologia): «la pandemia ha messo alla prova la resilienza del sistema sanitario, ma abbiamo saputo rispondere. E abbiamo toccato con mano quanto la cooperazione sia decisiva per affrontare l’emergenza e trovare risposte decisive, sia per pazienti che per i neurologi che le curano»

 

Il 14 marzo, come ha ricordato Marco Salvetti (Università Sapienza, Ospedale Sant’Andrea, Roma) «AISM, la Società Italiana di Neurologia (SIN) e i Centri clinici italiani hanno scelto di condividere in modo rigoroso i dati che ciascuno raccoglieva sulle persone con SM che avevano contratto il COVID-19».

 

Il Presidente FISM, Mario A. Battaglia, ha ricordato come questa «chiamata all’azione intendesse, subito nei primi giorni della pandemia, capire l’impatto di COVID-19 sulla popolazione con SM e la severità del decorso dell’infezione in quelli che l’avevano contratta, condividendo le conoscenze sui fattori clinici e demografici dei pazienti con SM che avevano contratto il COVID-19, il suo decorso clinico e i suoi esiti». Si è inoltre andati a verificare l’impatto delle terapie per la SM, che intervengono sul sistema immunitario, nel rischio di contrarre il COVID-19  o di contrarlo in forma grave.

 

E già a fine aprile, per prima tra le nazioni d’Europa, grazie alla piattaforma di MuSC-19, coordinata dalla professoressa Maria Pia Sormani dell’Università di Genova, l’Italia ha potuto pubblicare sulla rivista Lancet Neurology i primi dati preliminari raccolti su 232 pazienti, che hanno consentito di dire a medici e persone che la popolazione con SM non ha un rischio maggiore degli altri di contrarre il COVID-19  e che le terapie per la SM possono e devono essere continuate. Risultati che continuano a valere anche oggi quando, come ha ricordato la professoressa Maria Pia Sormani, nel database di MuSC-19, che continua a essere implementato, sono presenti i dati di 1937 con SM che hanno avuto il COVID-19, di cui 1312 italiani e gli altri da Turchia, Egitto, Kuwait, Cile, Brasile, Argentina, Messico,Austria, Portogallo.

 

Come ha ricordato la professoressa Maria Trojano (Università degli studi di Bari, Presidente Comitato Scientifico Registro Italiano Sclerosi Multipla), questo percorso di successo, questa partecipazione massiccia alla condivisione delle conoscenze «è il frutto del percorso di stretta collaborazione che AISM e la rete dei Centri clinici condividono da anni e che trova forte rappresentazione nel Registro Italiano Sclerosi Multipla, nel quale sono già presenti dati di qualità,  di oltre 54.000 pazienti inseriti da 155 Centri SM, relativi a persone seguite da tanti anni, con data di esordio, conferma della diagnosi, storia del decorso con tutti i trattamenti e gli esami clinici effettuati. Lo stesso Registro consentirà di valutare l’impatto a medio e lungo termine del COVID-19 sull’andamento di malattia e sulle scelte di trattamento».

 

Siccome la scienza vera è quella che nasce dalle connessioni, sempre, è stata presentata una nuova iniziativa di «connessione» tra AISM, SIN, Registro Italiano SM e AINI per un agenda di ricerca COVID-19 nella Sclerosi Multipla, a. Questa è una chiamata all’azione di diversi attori incluse le case farmaceutiche. Mentre vengono raccolti i dati epidemiologici, attraverso la piattaforma MuSC-19 e il Registro Italiano SM, è urgente allocare risorse e attenzione a ricerche volte a capire come e se i diversi trattamenti modificanti l’andamento di malattia influenzano l'infezione da SARS-CoV-2 nelle persone con SM e con quali meccanismi di azione.

 

Roberto Furlan (Vice-Direttore Istituto Neurologia Sperimentale Ospedale San Raffaele, Milano; Presidente Associazione Italiana Neuro Immunologia) spiega: «abbiamo firmato un protocollo di ricerca ambizioso nel quale, partendo dalle persone con SM che hanno avuto il COVID-19, i cui dati sono inseriti nella piattaforma di MuSC-19, intendiamo valutare con analisi sierologica il tipo di impatto che l’infezione da Sars-CoV -2 ha avuto sulle cellule B e T del sistema immunitario. Insieme, dovremo avere dati sufficientemente numerosi per distribuire le persone in gruppi a seconda del tipo di farmaco che prendono in modo da imparare a valutare come i diversi farmaci incidono sulla reattività all’infezione delle cellule B e T. In questo modo quello che impareremo grazie a questo percorso potrà diventare un modello per valutare sistematicamente se e come la persona che assume un certo trattamento può sottoporsi con sicurezza ed efficacia ai diversi farmaci e ai futuri vaccini».

 

E l’industria, come ha ricordato Bruno Musch, (Medical Director US Medical Affairs Neurosciences at Genentech Inc.; USA, membro dell’Industry Forum della Progressive MS Alliance), è certamente interessata a lavorare in sinergia con questi progetti di condivisione dei dati su COVID-19e SM: «Insieme – ha ricordato – possiamo acquisire consistenti dati epidemiologici e di farmacovigilanza relativi al rischio di infezioni nei pazienti che usano trattamenti modificanti l’andamento di malattia, individuando denominatori solidi per valutare l’impatto dell’ infezione nei pazienti che usano i diversi trattamenti modificanti l’andamento di malattia. Dovremo inoltre valutare l’impatto dei trattamenti per la SM sui vaccini non COVID-19 e sui futuri vaccini per COVID-19. La condivisione di questo tipo dati, per l’industria e per le persone, è preziosa anche per assicurare la continuazione dei clinical trial in corso. Infine, questi percorsi potranno aiutarci a misurare anche l’impatto del COVID19 sulla severità dell’evoluzione SM nel tempo».