Salta al contenuto principale

Donna e disabile, discriminazione doppia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il 25 novembre - Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne – AISM ha lanciato la campagna social #maipiù e l’ha rilanciata l’11 dicembre come seguito della Giornata Nazionale dei Diritti Umani.

La discriminazione è violenza ed è dalla capacità di riconoscere la violenza sotto ogni forma possibile che si deve partire per mettere fine alla discriminazione: se ne è parlato anche in una puntata dedicata di Succede Sempre di Venerdì, la trasmissione in onda ogni settimana su Telegenova (canale 18) e in diretta FB di AISM in prima serata che puoi rivedere qui.

 

Per approfondire ancora, e farvi vedere sotto quanti aspetti la discriminazione e la violenza si insinuano – al lavoro, ma anche, in casa, riverberando sui bambini, cui bisogna insegnare e spiegare da subito come una malattia non voglia dire altro, per una donna, che avere una malattia, abbiamo intervistato l’avvocato Haydée Longo e Alessia De Filippo, insegnante.

 

 

 

 

Sessualità disconosciuta, maternità ostacolata

Alle donne con disabilità non viene riconosciuta alcuna dignità sessuale e non c’è alcun accesso all’educazione sessuale. Vengono spinte a fare carriera a tutti i costi e scoraggiate a diventare madri. Quando restano incinta subiscono grandi pressioni affinché non tengano il bambino, come se fossero per natura inadatte a prendersi cura dei figli…

 

«Non dobbiamo chiudere gli occhi nei confronti della disabilità, ma in molti casi queste donne sono davvero pronte a diventare madri – afferma la ginecologa Paola Castagna, che gestisce l’ambulatorio ostetrico-ginecologico DD (Donne con Disabilità) all’ospedale Sant’Anna di Torino. In questo percorso, è fondamentale un buon councelling preconcezionale: bisogna analizzare i rischi, fare tutti gli esami necessari e preparare la coppia anche da un punto di vista psicologico. Superare l’idea che per le donne con disabilità la gravidanza sia impossibile è un passaggio culturale necessario. Se ancora oggi molte donne disabili non riescono ad accedere ai servizi sanitari è perché questi luoghi sono stati progettati, realizzati e organizzati assumendo come unico standard la paziente senza disabilità. Il nostro ambulatorio invece è privo di barriere architettoniche: si accede con scivoli e ascensori, il lettino ginecologico è regolabile in altezza e abbiamo un sollevatore per far salire sul lettino le donne in carrozzina (oltre 950 accessi, con circa 60 donne che hanno portato avanti una gravidanza dall’apertura nel 2008). Effettuiamo visite ginecologiche e ostetriche, pap test ed ecografie: il team è adeguatamente formato sulle diverse disabilità e su come relazionarsi con le pazienti. Ad esempio, come visitare una donna con autismo che non accetta il contatto? Occorre una preparazione specifica».

 

Lavoro non garantito

Demansionamento, cambiamenti nel comportamento dei colleghi e del datore di lavoro. Tutti atteggiamenti che tolgono serenità alla persona con SM.

«Stiamo parlando di una discriminazione a tutto tondo, sia perché si è donna, sia perché si è disabile. Come Rete AISM, nelle nostre consulenze incontriamo moltissime persone, nella maggior parte dei casi si tratta di discriminazioni sul posto di lavoro». «Tra i momenti più critici c’è senza dubbio quello della comunicazione del proprio stato al medico dell’azienda, che poi dovrà comunicare al datore non la diagnosi – per motivi di privacy –, ma le prescrizioni sui cambiamenti da prevedere nell’ambiente di lavoro. È un momento cruciale, fonte di grande ansia - spiega Maria Barbera, figura di riferimento del Comitato avvocato e membro della Rete avvocati AISM.

 

La storia di Cristina: quel posto, mi spetta di diritto

Operatrice sociosanitaria trentenne della provincia di Pavia, Cristina sul lavoro ha sempre tenuto nascosta la sua condizione di donna con SM fino a quando, per partecipare a un concorso bandito dall’Azienda servizi per la persona, ha dovuto presentare tutta la certificazione medica relativa alla patologia. Cristina da 15 anni è curata alla Fondazione Mondino. «Era un concorso per oss (operatore socio sanitario), esattamente il mio campo. Sono laureata, ho esperienza», racconta. I primi 26 in graduatoria sarebbero stati assunti a tempo indeterminato al Policlinico San Matteo di Pavia: lei si classifica 12esima. «Mi hanno proposto di essere inserita nel reparto di medicina o al pronto soccorso. A me sarebbe andato bene, ma ho fatto lo sbaglio – con il senno di poi lo posso dire – di ricordare la mia patologia. Lo staff che avevo di fronte è caduto dalle nuvole. A quel punto mi è stato fatto presente che la soluzione per me avrebbe dovuto essere uno dei laboratori o il day hospital. Anche questa volta, mi sono detta disponibile».

Due giorni prima della firma sul contratto, con già i turni in mano, Cristina riceve una mail che sosteneva la sua inabilità a lavorare: «Delusa, amareggiata e arrabbiata, ho scelto di fare causa all’ospedale». È passato poco meno di un anno e, dopo due udienze, il giudice si è riservato di decidere. «Al momento sono disoccupata, ma sto mandando moltissimi cv. E pensare che io, prima del concorso, un lavoro ce l’avevo, e mi piaceva pure. Però ero a tempo determinato: così, quando ho saputo di avere vinto il concorso, mi sono dimessa». Cristina da 3 anni lavorava come oss in una comunità psichiatrica: «Avevo a che fare con disabilità gravissime, con persone allettate. Ho la SM ma non si vede: non ho problemi di forza, semplicemente mi trema la mano sinistra, ma è sufficiente non affidarmi lavori di precisione. In comunità non sapevano della mia malattia, e non si sono mai lamentati. Lavoravo su turni, facevo le notti. E adesso? Vorrei solo il mio lavoro: quel posto l’ho vinto». 

 

Il Progetto I>DEA: l’accomodamento ragionevole

Il Progetto I>DEA dedica la terza fase al lavoro: con il materiale raccolto e le relazioni intessute, l’obiettivo è realizzate linee guida di contrasto alle discriminazioni in ambito lavorativo, con 16 percorsi di inserimento lavorativo in 16 aziende. Questo aspetto sarà curato da Fondazione Asphi onlus, da anni impegnata nel settore delle tecnologie digitali per migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità. Ma Asphi sarà presente con gli altri partner in tutte le fasi del progetto: «Conosciamo il mondo del lavoro e cerchiamo gli accomodamenti adeguati alla promozione del benessere del lavoratore – spiega Gabriele Gamberi di Asphi –. La nostra priorità è riuscire a leggere il contesto lavorativo e, in un secondo momento, capire quali adattamenti – non solo tecnologici, ma anche sociologici, per esempio – possono essere necessari per modificare il contesto e renderlo garante di maggior benessere per la persona con disabilità. In pratica, noi interveniamo per evitare che la persona possa essere considerata meno solo perché non ha gli strumenti adeguati. Di fatto, ci impegniamo per prevenire la discriminazione». Asphi per il progetto I>DEA identificherà alcuni percorsi in essere per poi creare profili di funzionamento: «Ispirandoci soprattutto a casi virtuosi, valuteremo e condivideremo le buone pratiche nel corso della malattia. La SM è degenerativa, perciò è necessario ragionare in base alle sue fasi e prevedere una revisione permanente degli adattamenti, naturalmente coinvolgendo il medico competente». Su un punto Asphi è inamovibile: «Non esiste l’impossibilità di identificare da parte di un’azienda la possibilità di trovare una mansione alternativa. Con sindacati, medico, responsabile sicurezza e responsabile delle risorse umane è sempre possibile trovare un accomodamento ragionevole, come previsto dalla Convenzione Onu del 13 dicembre 2006». 

 

Il progetto I>DEA : misurare il cambiamento per consolidare e migliorare il percorso tracciato

Su I>DEA si innesta anche un progetto di misurazione del cambiamento, effettuato attraverso un questionario sottoposto prima e dopo la formazione. Questa valutazione avverrà sul breve, medio e lungo periodo ed è affidata a Human Foundation, ente privato di ricerca che promuove soluzioni innovative in risposta ai crescenti bisogni sociali. Human Foundation, interviene anche nella fase formativa, alla quale ha fatto precedere alcuni focus group, per comprendere, all’avvio del progetto, il livello di conoscenze che le “antenne” avevano del fenomeno della discriminazione di donne con SM. «A Roma, per esempio, le donne coinvolte avevano ben presente le discriminazioni, e chi non leggeva certi atteggiamenti come discriminatori ha acquisito una maggiore consapevolezza», racconta Marta Rossi di Human Foundation. Nello specifico, HF lavora su due fronti: da un lato con le donne della rete RED, dall’altro all’interno della rete AISM, cercando di coinvolgere le persone che, con più probabilità, si possono trovare di fronte alla necessità di riconoscere un caso di discriminazione, anche multipla, vale a dire quelle più impegnate sul fronte accoglienza.