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Che cos'è lo scribing


Che cos’è lo scribing?

“Una metodologia di accesso alla conoscenza tramite la visualizzazione.” La definisce così, di primo acchito, Marcello Peruzzi, il facilitatore dell’agenzia Housatonic, che ha partecipato all’incontro con le famiglie dedicato alla SM pediatrica.

 

…e specificando meglio per capire come funziona e con quale obiettivo?

Lo scribing è una tecnica che supporta e accompagna le persone a fare un progresso rispetto ad un tema o in un ambito definito. È lo strumento tangibile di un certo tipo di facilitazione, quella che ha come obiettivo il fare emergere le prospettive individuali in relazione a quelle collettive – di un gruppo di lavoro, per esempio – rappresentando la complessità delle voci coinvolte possibilmente in modo morbido e creativo.

 

 

Cosa ci racconta quindi questo esempio a tema ricerca scientifica?

Quest’immagine è stata fatta in occasione del Convegno Giovani 2020, il tema era la ricerca scientifica. A parte la ricchezza visuale attorno alla parola “Ricerca”, stando a come osservo oggi quest’immagine vedo che l’elemento forte emerso è “nuovi settori di indagine” e “essere pronti a cambiare strada”. Il quadro compositivo dell’informazione vorrebbe perciò dare un'idea di speranza e mostrare che la scienza è attiva su questo tipo di innovazione. Il messaggio, quindi, è che ‘non ci si ferma su ciò che già esiste’, ma si è pronti a cambiare percorso di ricerca. Per chi si approccia alla SM per la prima volta, penso che questo sia molto importante da prendere e mettere nella propria consapevolezza.

 

Come si sceglie cosa rappresentare di una conversazione di gruppo?

Dal punto di vista scientifico, uno scribing difficilmente potrà essere esaustivo su un tema. Chi si approccia per la prima volta al tema, attraverso lo scribing ha però la possibilità di coglierne i punti essenziali e i nessi.

Lo scribing è una specie di mappa e per realizzarla occorre sintonizzarsi molto bene al modo in cui vengono espresse e si connettono le idee. In altre parole, lo strumento principale è un tipo di ascolto il più possibile protetto dai propri pregiudizi e conoscenze. Dopodiché, è inevitabile scegliere fra le parole. Grammaticamente, la scrittura necessita di sintesi e deve essere veloce, ma ben leggibile. Si deve puntare a fare dei cluster, cioè “gruppi di senso” a cui tornare associando le parole che vengono man mano espresse; si deve provare a segnalare graficamente la presenza di registri diversi: su uno stesso argomento ci si può occupare di un ordine pratico, di un ordine ideale, di strategie, eccetera: l’obiettivo è indicare graficamente le differenze tra questi ordini. Spesso nelle conversazioni si trova ridondanza e in questo caso dobbiamo saper scegliere di non aggiungere altro, fermarci e aspettare (o prospettare) un nuovo punto di vista. Esiste anche una dimensione non verbale con cui cogliere l’energia che caratterizza gli incontri, i sensi, i sentimenti.

 

E come si fa a far risaltare ciò che è fondamentale?

Graficamente gli espedienti sono tanti e possono essere la grandezza diversa, il colore, l’uso di segni... Quando il ruolo del facilitatore grafico è anche quello di intervenire verbalmente, si usano espedienti verbali che possano muovere la conversazione verso un ordine diverso, che suggeriscano uno spazio di discussione senza imporsi. Infatti, non è il facilitatore a sapere le cose, ad essere l’esperto. La soluzione sta nel frutto dell’interazione comunicativa. Ciò che viene detto viene visualizzato e le persone vedono immediatamente crearsi il processo di ragionamento collettivo.

Il tuo ruolo, quindi, non è solo di uditore e disegnatore…

Il mio ruolo è molto spesso anche di facilitazione attiva, con l’obiettivo ancora una volta di far emergere le sfaccettature di un argomento, oppure alcuni punti di vista particolari. Bastano quasi sempre poche domande-guida, cioè domande aperte che siano in grado di spostare l'attenzione su un ordine più pratico o uno valoriale o ideale e viceversa, se serve. Possono sollecitare un maggior dettaglio o aiutare la manifestazione di un’angolatura di tipo filosofico che è solo apparentemente scollegata da temi pratici e che in realtà aiuta a comprendere diversi altri meccanismi. O al contrario se una conversazione è stata molto tempo su aspetti di ordine ideale e viene spontanea la domanda però nella pratica che cosa succede?, il facilitatore sfrutta il privilegio della propria ‘ignoranza’ sul tema per osare un’apertura in una direzione dove chi sa talvolta non va per abitudine.

 

E nel caso degli incontri sulla SM pediatrica, qual è stata secondo te la cosa più complessa per i giovani da tirar fuori?

Con loro il momento è stato magico: le complessità sono state sbriciolate dal desiderio delle persone di interagire, di tornare ad incontrarsi, di parlare, di aggiornarsi, quindi in realtà sono loro che hanno creato da soli un campo assolutamente libero e attivo. Non ci sono state grandi difficoltà, proprio per la loro intraprendenza. Il nostro segreto di facilitatori è nella prontezza a modificare e superare il programma che ci si era prefissati, anche a dispetto di tempi e improvvisi ritardi. Quando i ragazzi hanno cominciato a parlare spontaneamente dei fatti loro abbiamo subito inteso che quello era proprio il momento di svolta e lo abbiamo seguito.

 

C’è differenza fra supportare l’espressione individuale e quella collettiva?

Quando l'attività è ‘a tu per tu’ forse è più opportuno parlare di coaching, dove credo che il dialogo principale sia sempre quello fra due persone. Quando si è all'interno di un gruppo, il facilitatore deve essere molto attento ad ascoltare e percepire ogni voce, specialmente quelle che non sono ancora comparse o fanno fatica a comparire. È fondamentale la dinamica di saper amplificare e attenuare voci per creare una concertazione che sia veramente collettiva.

 

E con uno scribing per una riunione aziendale? Cosa cambia?

Per una metodologia come la facilitazione grafica che potrebbe definirsi una “tecnologia sociale” non dovrebbe esserci distinzione tra ambiti di questo tipo. Deve funzionare con la stessa energia dinnanzi a ogni tipo di comunità. Indubbiamente, il mondo corporate poggia su un serrato avvicendarsi di obiettivi organizzati, con team che partecipano con ruoli e posizioni ben definite e che devono recepire determinate cose, spesso di ordine pratico. Ma il nostro è un lavoro creativo che deve mettere in moto il pensiero “laterale” di chiunque. E qui si arriva al nodo: perché secondo me è una questione di allentamento anche solo temporaneo del rigore per dare spazio a creatività ed emozione, ovvero alle corde più profonde che motivano ogni persona.

 

Fra le tue passioni ci sono filosofia e musica: sono utili nel tuo lavoro? Qual è la tua formazione e quando hai deciso di farlo?

Per la filosofia, interrogarsi sull’essenza intima delle cose è la chiave di tutto. E sulla musica potrei dire molto, oppure soltanto che “siamo esseri fatti di suono”. Riguardo alla formazione, infine, non esiste una via definita. Come tanti sono arrivato a questo un po’ per caso e mi ci sono dedicato, ma non credo che sia necessaria una formazione artistica, come quella che comunque ho avuto io.