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Nicola Pesaresi, e la speranza di portare serenità

 

pesaresi

Da quando nel 2012 ha partecipato alla trasmissione “Italia’s Got Talent”, Nicola Pesaresi è diventato uno dei più seguiti “ventriloqui” italiani anche se lui ama dire “ il ventriloquo è solo una parte di quello che faccio. Il resto è un casino di follia!”. Con la sua fidata Isotta e con gli altri pupazzi della sua particolare famiglia, fa ridere e divertire, con semplicità, piccoli e grandi. Ed è anche testimonial di AISM.

Sei stato da pochi mesi ai “Soliti Ignoti” di Amadeus e, come tutti, ti sei presentato: “sono Nicola, ho 43 anni, vengo da Spello, provincia di Perugia”. Al di là della carta d’identità, che è diventata pubblica, cosa diresti ancora per presentarti a chi non ti conosce?

Direi che sono un papà. Ho un bambino di sette anni che coinvolgo spesso in quello che faccio, ma discretamente, senza metterlo in mostra. E poi sono uno che, qualche anno fa, ha deciso che voleva vivere della propria passione. Ho trasformato quello che era un impegno collaterale nella mia attività principale: ora faccio spettacolo, con la speranza di portare un po’ di serenità e felicità a bambini, famiglie, adulti.

Ne abbiamo tanto bisogno, lo sai.

Abbiamo bisogno di sorridere. Credo fortemente a uno dei miei motti: “ogni volta che fai sorridere un bambino salvi il mondo intero”. Nel trasporto verso i piccoli c’è la chiave della felicità. Chi ha figli non dovrebbe neanche pensare a un mondo con la guerra. E la salvezza è nel fare sorridere i bambini in un mondo senza guerra.

Cosa facevi prima di diventare un uomo di spettacolo?

Il perito assicurativo!

Un cambiamento totale

Era quello che amavo fare. Con un po’ di coraggio, ho deciso di farne il centro della mia vita professionale. Ho seguito l’amore, diciamo.

In famiglia c’era qualcuno che viveva di arte?

Assolutamente sì. Mio padre è regista teatrale. Lui l’ha sempre fatto come secondo lavoro. E io ho iniziato con lui a stare in teatro. E anche per me è iniziato come secondo lavoro. Poi ho preso la mia strada.

Tu in teatro fai spettacoli e anche insegni: cosa dà di speciale?

Insegno nelle scuole del mio territorio e lo amo da morire. Tengo dei corsi al Teatro di Bevagna, nel folignate, e vorrei aprire da quest’anno una mia piccola scuola. Il teatro è un gioco che costruisce il modo di relazionarsi, di comunicare. In una società dove tutto, in teoria, è comunicazione e dove in realtà comunicare è diventato difficile, avere strumenti propri per comunicare, da persona a persona, è importantissimo. L’insegnamento del teatro a scuola dovrebbe essere obbligatorio.

Isotta il primo pupazzo cui hai dato la tua voce di ventriloquo è fenomenale: come l’hai inventata?

Ho iniziato il mio percorso di artista proponendo dei laboratori teatrali nelle scuole. Alla fine, raccontavo sempre una storia, per lasciare al bambino la voglia di rivederci la volta dopo. Ho cominciato a utilizzare i pupazzi per dare corpo alle mie storie e ho trovato un’accoglienza incredibile. Allora ho pensato: se i bambini li amano così tanto, cosa può fare un’artista con un pupazzo? E ho scoperto che si poteva anche fare ventriloquia. Ho iniziato a studiarla da autodidatta e poi ho fatto dei videocorsi in lingua americana, perché in italiano non si trova niente on line.

Ecco perché dici che Isotta è nata in America!

Lei è veramente nata in America: il costruttore che la produce è americano. Non diciamolo a lei, ma mi è costata un occhio della testa, in verità.

Che carattere ha?

Inizialmente era come una irriverente bambina di tre anni. Poi è cresciuta un po’ con me. Adesso ha il carattere di una ragazzina furba e dispettosa.

Come ti scrivi i testi, da dove prendi ispirazione?

In realtà nella scrittura scenica il personaggio supera il testo. Se il personaggio è ben delineato, se sai bene come potrebbe ragionare, il testo si scrive da solo. Nei miei spettacoli c’è un canovaccio scritto ma anche una componente di improvvisazione. Se la serata funziona bene, quell’improvvisazione diventa repertorio.

Isotta è come un secondo Nicola. A volte, tutti noi, sogniamo di avere un ‘secondo noi stessi’ che dica quello che pensiamo davvero facendo sembrare che non siamo noi a dirlo?

(Ride)

Ti succede anche nella vita normale?

Nella vita sono una persona semplice e diretta. Lo sdoppiamento rimane ancorato al momento teatrale. Coi bambini il pupazzo funziona sempre, perché il gioco è l’espressione dominante della loro vita. Se trovano un adulto disposto a giocare con loro, ne nasce un’esperienza strepitosa, per tutti.

Ci racconti anche degli altri tuoi pupazzi?

C’è il procione, un animaletto piccolo che non parla, ma è prezioso per creare un contatto tra me, il pupazzo, il pubblico. Poi un cane scorbutico che parla proprio come i bambini. Lo chiamo e gli dico: Gianni, ci sono bambini. E lui: “puzzano”. I bambini vanno in delirio. Poi c’è un coccodrillo, che serve per la domanda: “e il coccodrillo come fa”, cui non risponderemo. Ma è gigantesco, diverso dagli altri. Poi ho un ornitorinco, che ho portato a “Tu si que vales”. Fa il dj, è simpaticissimo. Lo sto riscoprendo. Poi c’è Cesare, l’archetipo del maschio alfa un po’ scorbutico, con un linguaggio più da adulti.

Chi sono i tuoi supereroi, Nicola?

Quelli che danno l’anima per fare stare bene i bambini considerandoli per quello che sono e non come gli adulti che dovranno essere. Lavoro anche con associazioni che lavorano con i bambini e mi rende felice.

La canzone dell’ultimo Festival di Sanremo sui supereroi diceva che “il cuore è un armatura, ci protegge ma si consuma, a volte chiedere aiuto ci fa paura”. Cosa ti fa paura?

Paura di non essere all’altezza. Paura delle situazioni che ci si presentano. Da papà ho paura che mio figlio possa soffrire. Siamo persone fragili ed è normale avere paura, ogni giorno.

Hai 300mila follower su Tik Tok e sei il ventriloquo italiano più seguito sui social, cosa ci trovi di speciale? E in TV?

La cosa bella dei follower su Tik Tok, ma anche su You Tube e su Facebook, è che ti seguono proprio, si affezionano a te, guardano tutti i tuoi video, te li commentano. Mi piacciono i social perché si crea una relazione costante, quasi intima. Mi aiutano a creare connessioni, a mantenere le persone in contatto con quello che faccio.

C’è un pallavolista nazionale con il tuo stesso nome: tu come sei messo, quanto a sport?

Assolutamente. Io, confesso, quando ho i miei tour de force che a livello fisico mi stressano tantissimo, devo stare in forma. Poi tendenzialmente sono uno che ingrassa. E allora quando posso cerco di fare sport e tenermi in forma. E poi lo sport ti dà quella chimica naturale che aiuta a stare bene, a vederti bene, a relazionarti meglio, a buttare fuori quello che stress che ti si accumula dentro.

Hai detto che tendi a ingrassare… posso farti una domanda sul tuo cibo preferito?

Ah beh, ce ne sono così tanti… i dolci, direi, sono il mio punto debole. Potrei morire di dolci e gelati.

Stai girando l’Italia coi tuoi spettacoli teatrali: c’è un tratto ‘italiano, italianissimo’ che una scimmia americana come Isotta trova e ama ovunque vada?

L’adulto italiano, quando ti vede per la prima volta ti guarda come per sfidarti: “adesso scopro come fai a fare il ventriloquo”. Prima ti deve scoprire poi torna bambino e finalmente si lascia andare al divertimento puro come i bambini.

Vedendo i tuoi spettacoli l’adulto può tornare bambino?

Siamo sempre noi. Tutto quello che ci faceva divertire da bambini rimane intatto. Serve solo la capacità di nutrire il bambino che rimane sempre vivo in noi e di non farci troppo influenzare dai pregiudizi per cui un adulto non dovrebbe ridere di fronte a battute semplici e leggere, quelle per cui un bambino ride subito. Leggerezza e semplicità non sono sinonimo di banalità, sono due cose completamente diverse.

Se Isotta è cresciuta con te, tu come sei cambiato negli anni con lei e con la ventriloquia?

In realtà la mia è una evoluzione continua, anche a livello psicologico. Sono una persona complessa, cambio spesso i miei obiettivi.

Sei anche testimonial di AISM: come immagini la giornata di una persona con SM?

Fatico a immaginarmela, dico la verità. È difficile sentirsi addosso una condizione così impegnativa, se non la si vive. Mi colpisce soprattutto l’imprevedibilità della sua evoluzione. Essere legati al presente e avere sempre un certo timore per il futuro può diventare una cosa psicologicamente devastante. Penso che serva tanto sostegno, anche psicologico, per starci dentro. Più di tutto conta dare speranza alimentando la ricerca.

Un saluto di Isotta per tutti noi di AISM…

“Ciao, ragazzi, lottiamo insieme, la vita è bella”, direbbe Isotta.

 

Per seguirlo più da vicino, il suo sito è: https://www.nicolapesaresi.com/