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«La pianificazione condivisa delle cure»: il valore di un diritto

 

Il diritto di vedere rispettate le nostre scelte fino all’ultimo

 

C’è un aspetto profondo del modo di vivere la vita e di affrontare la malattia, una dimensione carsica di noi che chiede di essere accolta, ascoltata, accudita. Come vorremmo essere curati nelle fasi avanzate della malattia? Vorremmo ricevere tutti i trattamenti possibili per mantenerci in vita il più a lungo possibile o solo quelli che ci preservino una qualità di vita ancora accettabile per noi? Ci sentiremmo più sicuri e sereni se fossimo ricoverati in una struttura ospedaliera o se potessimo restare a casa nostra? Preferiremmo avere accanto chi amiamo o restare da soli? Sapere tutti i dettagli di ciò che ci succede o solo lo stretto necessario? Sapere o no quanto ci resta da vivere, secondo i medici?

Anche solo immaginarci le ultime strade del nostro percorso di vita, richiede un’enorme fatica, ancora di più in questi giorni di pandemia.

 

Per questo, non possiamo affrontare da soli le domande che ci preoccupano e le risposte che vorremmo avere. Dobbiamo farlo insieme. Se ne parliamo con i nostri cari e con i professionisti sanitari che ci hanno in cura, sarà più facile prendere le decisioni importanti che riguardano il nostro percorso di malattia, anche per un momento in cui non fossimo più in grado di decidere autonomamente”..

Se però vogliamo assicurarci che le nostre preferenze vengano rispettate ed abbiano un valore vincolante sempre, oggi e fino all’ultimo momento della nostra vita, dobbiamo metterle per iscritto o videoregistrarle. Questo permetterà ai medici di consultarle e di comportarsi in modo da soddisfare i nostri desideri più autentici.

La legge 219/2017 ha messo a disposizione di tutti, in particolare delle persone con malattie progressive, come nel caso della sclerosi multipla, uno strumento che si chiama “Pianificazione condivisa delle cure”.

 

 

 

Di cosa si tratta, cosa dice la legge, qual è la sua radice di significato

«Dopo un dibattito durato vent’anni, attraversato da casi divenuti molto noti per l’intera opinione pubblica – spiega Ludovica De Panfilis – è stata approvata dal Parlamento il 22 dicembre 2017 ed entrata in vigore il 31 gennaio 2018 la Legge 219/2017, nota come legge sul “Consenso informato” e sulle “disposizioni anticipate di trattamento” (DAT). Oltre alle DAT, note all’opinione pubblica anche come Testamento Biologico, che possono essere redatte individualmente da ciascuno di noi e depositate presso il comune di residenza o presso un notaio, la norma introduce anche la “Pianificazione condivisa delle cure” (PCC), uno strumento già noto alla letteratura internazionale, chiamato Advance Care Planning, il cui obiettivo è mettere per iscritto quali sono le preferenze della persona rispetto alle scelte di cura future, nell’eventualità in cui la persona non sia più in grado di esprimere le proprie volontà. Le PCC sono dedicate a quei pazienti che hanno già una malattia progressiva e non guaribile, e che sono già in cura presso medici o équipe multidisciplinari che li seguono e che dunque possono trascrivere questa pianificazione ».

La dimensione distintiva di questo strumento sta proprio nella parola “condivisa” con cui viene qualificata la “pianificazione” di ciò che dovrà essere fatto in termini di “cure” per la persona:

«Mentre le DAT – continua la dottoressa De Panfilis- possono essere redatte individualmente e depositate in Comune, le PCC vengono scritte a quattro o sei mani, dalla persona, dal medico che la segue, dall’eventuale familiare o fiduciario che la persona individui. Altro vantaggio della PCC è che può rimanere soltanto nei contesti sanitari, registrata nel fascicolo sanitario elettronico – dove presente – o in cartella clinica, e ha validità legale pur non essendo depositata ufficialmente in Comune. Insomma, abbiamo un vero e proprio strumento della relazione di cura – questo il suo grande ‘plus’ –a tutela delle preferenze della persona, per far sì che le scelte di cura si basino sui valori, le preferenze, gli obiettivi della persona che ha una malattia invalidante e progressiva, per fare in modo che nessuna decisione di cura sia presa senza conoscere la volontà e le preferenze del paziente e su di esse basarsi».

La persona, le persone Michela Bruzzone sottolinea un aspetto decisivo della normativa e dello strumento che il gruppo di lavoro sta mettendo a punto: «È un percorso dove la volontà e l’autodeterminazione della persona rimane l’elemento centrale, ma dove la persona stessa è aiutata e accompagnata nella decisione. Questo è l’elemento chiave: rispettare al massimo la persona, la sua determinazione, la sua volontà, ma non lasciarla sola nella decisione. Non è mai facile prendere decisioni, tanto più sul futuro e sul fine vita, e per questo è importante avere qualcuno vicino con cui confrontarsi. Non qualcuno che decide per te, ma qualcuno che ti ascolta, ti fa domande, si interroga con te. La scrittura delle PCC deve essere un percorso condiviso di confronto, frutto di un dialogo che si deve istituire tra il medico e l’intera équipe socio-sanitaria che segue il paziente e la persona stessa, coinvolgendo quando è utile i familiari. Nessuno deve essere lasciato da solo a ragionare e decidere su aspetti così delicati. Ci si arriva con calma, dandosi tutto il tempo necessario, insieme».

Scrivere le nostre scelte è un diritto: perché è importante agirlo

«È importante – spiega ora Alessandra Solari-  dare forma a come vorremmo essere curati in tali circoostanze, altrimenti ci consegniamo totalmente alla decisione presa da un medico del pronto soccorso o dal nostro familiare chiamato a starci vicino in una situazione di emergenza e di forte difficoltà, lasciando tra l’altro un forte carico a queste figure, che magari possono arrivare a fare scelte che non avremmo voluto, che non rispecchiano i nostri valori, credenze e desideri».

E se oggi non ce la sentissimo? Se pensassimo di non essere in grado di dire noi come dovere essere curati alla fine?

«Grazie alla legge recente – afferma De Panfilis – abbiamo finalmente un diritto, decisivo. Un diritto che offre a ogni persona con una malattia cronica e progressiva la possibilità di essere coinvolta e di esprimersi sulle scelte terapeutiche, dentro una relazione di cura. Ma un diritto non è un carcere, una trappola in cui sentirci soffocati: un diritto è una possibilità in più. Nulla vieta che la conclusione del percorso intrapreso sia che non ci sentiamo pronti e capaci di decidere sulle cure che vogliamo avere o non avere nei momenti finali della nostra vita. Anche questa volontà di non decidere sarebbe il risultato di una condivisione».

Si può sempre cambiare idea

Per questo, riassumono Solari e De Panfilis, «nulla è irreversibile in questo percorso di riflessione, decisione e formulazione di preferenze. Tutto può essere rivisto in qualsiasi momento: possiamo sempre cambiare la nostra idea. Sino a quando una persona è contattabile, cosciente, consapevole, può ribaltare quella pianificazione e quelle scelte che ha messo per iscritto».

La “Pianificazione condivisa delle cure” e l’Agenda della Sclerosi Multipla 2020

«Una concreta valorizzazione e attuazione del diritto alla “Pianificazione condivisa delle cure” – conclude a sua volta Michela Bruzzone - si inserisce perfettamente nel percorso di attuazione dell’Agenda della Sclerosi Multipla. Il primo punto dell’Agenda della SM 2020 parla, infatti, di presa in carico e afferma che “le persone con SM di ogni età e fase di malattia devono avere garanzia di risposte tempestive e personalizzate”. Ecco, le PCC sono una risposta personalizzata alle esigenze di una persona rispetto all’ultima fase di malattia, perché sono costruite con la persona stessa. Dare concretezza alle PCC allora è un altro tassello della realizzazione dell’Agenda della SM. Le persone con SM, se arriveranno all’ultima fase della vita nella condizione di non potere più esprimere il proprio consenso informato rispetto alle opzioni di cura, con la PCC avranno a disposizione uno strumento che garantisca fino all’ultimo il rispetto dell’autodeterminazione e della propria volontà. Si deve sempre partire dal bisogno della persona, dalla sua volontà, per costruire un percorso di risposta, un percorso di cura che rispecchi i suoi valori, i suoi desideri, le sue scelte».