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Emanuela: «Mamma, donna, persona. Voglio vivere ogni giorno la versione migliore di me»

Ha la SM dal 2009, è madre di tre figli. Le piace risolvere problemi e sa cos'è l’amore. Ecco la sua storia.

20/01/2022

 

«Tengo i capelli lunghi e controllo le doppie punte. Se vedo cellulite sulle cosce, intervengo con qualche crema. Devo sentirmi stupida per questo? Io dico di no. Non è una colpa se ti permetti un sorriso per queste piccole cose della vita e non dai importanza solo alla tua SM. Desidero vivere la mia versione migliore».

Emanuela ha la sclerosi multipla dal 2009. Non è un gioco, anche se lei minimizza: «Dico sempre che sono una finta malata. Ho una lieve diplopia all’occhio sinistro, una parte del corpo ha meno forza dell’altra, ma sinora non ho mai avuto nemmeno una ricaduta. Mi ricordo di avere la SM perché ogni giorno faccio l’iniezione di glatiramer acetato e quando semestralmente faccio tutti i controlli che devo fare».

 

 

Difficile che una persona abbia la SM per finta, anche quando il decorso è particolarmente benevolo: «in effetti – aggiunge - dodici anni fa non sapevo come sarei stata oggi. E anche oggi so che il futuro è imprevedibile. Ma intanto vivo».

Di sicuro, Emanuela vive come una “vera” mamma: «io e mio marito Federico abbiamo tre figli – racconta. Daniele è nato nel 2013. Volevo un parto naturale ma con l’epidurale. Invece me l’hanno negata durante il travaglio nonostante avessi tutte “le carte” in regola e alla fine, dopo  un lungo ed estenuante travaglio, mi hanno fatto il cesareo. Volevo allattarlo, ma allora gli studi non avevano ancora accertato se l’allattamento potesse aumentare il rischio di recidiva. Così il neurologo, visto che sino a quel momento ero stata bene, mi aveva consigliato di non allattare. Però in Ospedale, ogni volta che passava qualcuno, mi domandava sempre perché non stavo allattando mio figlio. E non era giusto che mi facessero sentire in colpa. Poi con Luca, il secondo figlio, mi sono presa la rivincita: è nato con parto naturale e l’ho anche allattato. Daniele, ancora oggi, è sfidante. Vuole sempre fare il piccolo capo, il protagonista. Fa un po’ la prima donna, ma è un buono ed estremamente generoso. È lui che mi ha fatto diventare mamma e mi ha aiutato a trovare il coraggio che non avevo: da quando è arrivato lui, ho smesso di avere paura del buio. Luca è tosto, non riesce mai a stare fermo, tocca tutto, è un ciclone. Ma è di una sensibilità disarmante. Pensa sempre prima ai fratelli che a se stesso. Quando prova a dire una bugia, lo sgamiamo subito, proprio non ci riesce. Invece Margherita, a quattro anni, ci rigira come dei calzini. Ti guarda coi suoi occhioni e con cognizione dice: “no, non sono stata io”. E invece sì. Stessa famiglia, stesse abitudini, stessa educazione, eppure i miei figli sono tre mondi meravigliosamente diversi».

 

 

Il pietismo e l’attrice fintamente buona: mi danno l’orticaria

È mamma, a tempo pieno, ma ancora prima – e dopo – è persona. Con le sue emozioni piene. «Il finto buonismo mi fa venire l’orticaria – confessa -. Una volta, in una serata di gala organizzata dalla Sezione AISM della mia città, mi si è avvicinata l’attrice che la presentava. Avendo saputo che avevo la SM, mi sorrideva e fingeva di dirmi parole dolci. In realtà non mi aveva detto proprio niente. Recitava la parte. A un certo punto me ne sono andata. Anche il pietismo mi indispone. Se mi dicono poverina, con me hanno chiuso. Invece amo parlare con tutti, ascoltare, creare connessioni tra le persone che conosco. E mi piace risolvere i problemi degli altri, se posso. Non mi basta dire qualche buona parola e dare una pacca sulla spalla».

 

Il lavoro e le persone che ancora mi commuovono

Emanuela, appunto, non vuole essere “solo” una mamma. E nemmeno una mamma con SM, anche se è orgogliosa di esserlo. Oltre, c’è di più.

«Sono passata, negli ultimi anni, da una maternità all’altra- racconta ora -. D’accordo con mio marito abbiamo scelto che io restassi a casa a far crescere i nostri figli, in questi anni. Ma mi piacerebbe tornare a fare il lavoro che amo. Voglio ritrovare tutto il mio essere donna. Dopo il master in comunicazione, ho lavorato prima per una rivista che si occupava di moda e poi, amando maggiormente un lavoro nel sociale, ho collaborato a un progetto di ricerca della Fondazione Giancarlo Quarta all’Istituto dei Tumori di Milano, sul valore della relazione medico paziente. Intervistavo i pazienti o i loro familiari. Le storie delle persone mi entravano dentro, fino al midollo. Con un giovane uomo e i suoi riccioloni ho stabilito un feeling speciale. Purtroppo, l’ho visto peggiorare rapidamente. L’ultima volta, l’ho incrociato in corridoio, portato in carrozzina dal fratello. Ricordo ancora oggi lo sguardo che ci siamo scambiati. E ho paura di sapere come sia finita la sua storia». A dieci anni di distanza, Emanuela si emoziona ancora. La voce le trema un po’. Ma continua: «Mi porto dentro anche – ricorda, ora senza frenarsi – la giovane moglie di un paziente cui i medici non avevano dato praticamente speranza di vita. Lei mi fermava, mi chiedeva cosa capissi io della diagnosi infausta, non voleva accettare la situazione. Con lei mi sono sentita impotente. Mi mancavano gli strumenti, le parole per essere d’aiuto. Ricordo che io e mio marito avevamo appena comprato casa e avevamo fissato la data per il rogito. Lui era entusiasta e io gli dissi: “Fede, dovrei essere felice, ma non ci riesco. Mi sento in colpa per essere felice. A noi due sta succedendo una cosa bella, a questa coppia probabilmente non succederà”. In ogni caso, amo intervistare le persone, entrare nella loro storia, scriverla. In futuro vorrei tornare a fare un lavoro da giornalista. Quello che scrivi è un po’ una tua creatura, come fosse un figlio: dentro c’è sempre un po’ di te, anche se parli di un’altra persona».

 

 

Guadare insieme nella stessa direzione

Il futuro, anche se sarà imprevedibile – e mai ci è stato così duramente evidente come in questi tempi di pandemia – per Emanuela ha una certezza: l’amore guida sempre. «Quando ho avuto la diagnosi stavo già con Federico. Gli ho detto che, se avesse voluto, avrebbe potuto andarsene. È rimasto. Anzi, abbiamo accelerato i progetti per il matrimonio. È un papà splendido. Coi bambini ha molta più pazienza di me. E sapete qual è l’ingrediente base della nostra coppia? L’amore. Altrimenti non c’è nulla. Penso che l’amore, quello che dura, sia guardare insieme nella stessa direzione. Avere un progetto di vita sul lungo periodo. Avere un obiettivo comune ci porta camminare come due binari vicini, che non si sovrappongono, non si annullano reciprocamente, mantengono la propria diversità, ma vanno insieme dalla stesa parte».

Né la SM né il Covid possono annullare l’amore e la voglia di progettare ogni giorno.

 


Emanuela è una delle protagoniste del libro: “Quando inizia un nuovo viaggio. Una vita oltre la sclerosi multipla” (La nave di Teseo, 2021), di Filippo Martinelli Boneschi. È lui che ci ha fatti incontrare.