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Il costo della disabilità

I farmaci non mutuabili, i servizi a macchia di leopardo, l’assistenza a carico delle famiglie. Quante sono le persone disabili in Italia? Quali spese devono sostenere? E su chi gravano? L'inchiesta di Laura Pasotti per SM Italia n.2/2019

20/07/2019

 

«Abbiamo necessità di assistenza personale 24 ore al giorno, quindi ci servono 5 o 6 assistenti a testa. Al momento riusciamo a coprire buona parte dell’orario, ma non tutto». A parlare sono Elena e Maria Chiara Paolini, sorelle con disabilità di Senigallia molto attive sui social (sono le autrici del blog Witty Wheels), che un paio di anni fa hanno indirizzato una lettera al presidente del Consiglio e ai ministri per chiedere ‘assistenza e non briciole di diritti’. Il loro appello ha fatto il giro del web e intorno alla loro protesta è nato il movimento #Liberidifare che ha portato le persone con disabilità a manifestare in diverse piazze d’Italia per il diritto alla vita indipendente. «Siamo disabili. Il che significa che da sole non riusciamo a fare quelle cose che la gente di solito fa se vuole restare viva. Quindi mangiamo, ci laviamo, puliamo casa e abbiamo una vita sociale innanzitutto grazie a delle assistenti personali. Le nostre assistenti agiscono al posto delle nostre gambe e braccia e questo ci permette di fare cose vedere gente e in generale vivere come ci pare», scrivevano le due sorelle. Ma le assistenti costano: circa 7 euro all’ora, da moltiplicare per tutte le ore necessarie, cui poi vanno ad aggiungersi ferie, malattie, tredicesima, festività, straordinari, eventuale maternità. «Con i contributi della Regione e dello Stato copriamo circa un quarto del nostro bisogno, per l’altra parte dipendiamo dal supporto economico della nostra famiglia — raccontano Elena e Maria Chiara che hanno rispettivamente 24 e 28 anni — La maggior parte delle persone disabili è costretta a pagare uno stipendio minimo ai propri assistenti per penuria di fondi, ma poi così è facile che questi trovino un lavoro meglio remunerato quando sono ormai specializzati sulle esigenze del proprio datore di lavoro. È necessario avere abbastanza fondi così da poter aumentare le paghe e renderlo un lavoro competitivo».

 

«Mio figlio ha 23 anni, è un disabile gravissimo e per assisterlo ho dovuto lasciare il lavoro. La mia è una vita da reclusa». A parlare è Sara Bonanno, una degli oltre 3 milioni di caregiver che si prendono regolarmente cura di un familiare anziano, malato o con disabilità. Vedova e disoccupata, Bonanno prima lavorava come assistente sociale. Si è licenziata quando, nove anni fa, Simone si è aggravato. «Ha bisogno di assistenza giorno e notte. Le infermiere a domicilio vengono al mattino, domenica esclusa, e tre notti alla settimana, le altre le faccio io — risponde — ma una legge regionale del Lazio stabilisce che loro possono operare sui gravissimi solo in compresenza di un familiare caregiver, e così io non posso nemmeno uscire». Anche per Bonanno, come per le sorelle Paolini, uno dei problemi dell’assistenza è dato dalla precarietà e degli stipendi bassi. «Ci vogliono mesi perché le infermiere siano in grado di assisterlo come faccio io e perché possa affidarglielo, anche solo per dormire un po’ — dice — Se non vengono stabilizzate però se ne vanno appena trovano un lavoro meglio retribuito. E io devo ricominciare da capo». La famiglia Bonanno vive al settimo piano di una casa popolare a Roma, «ho fatto richiesta per averne una al primo piano, ma non arriva mai», con tutto ciò che comporta in termini di barriere architettoniche. Oltre ai costi sociali, ci sono quelli economici. Altrettanto, gravosi. Senza reddito da lavoro, Sara Bonanno e Simone vivono con la pensione di invalidità di quest’ultimo, «e con quella miseria che il Comune passa ai caregiver dei gravissimi». Ma non basta per i farmaci, la terapia del dolore, la riabilitazione, gli ausili, il respiratore, la peg, l’assistenza nei casi di emergenza. Per sostenere tutte queste spese Bonanno deve ricorrere alla Caritas, alle iniziative di raccolta fondi locali, alle case farmaceutiche, ai gruppi di genitori per scambiarsi sostegno e materiali. Le storie delle sorelle Paolini e quella di Sara Bonanno e del figlio Simone sono emblematiche di una situazione che riguarda molte persone disabili in Italia: lasciate sole, con scarsi aiuti e pochi servizi.

 

I COSTI DELLA DISABILITÀ

 

Secondo la Convenzione Onu la disabilità è un concetto in evoluzione ed è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali che ne impediscono l’effettiva partecipazione alla società sulla base di uguaglianza con gli altri. Possiamo dire che la disabilità ha dei costi aggiuntivi? Abbiamo rivolto la domanda a Carlo Giacobini, direttore di Handylex.org, che a questa ne ha aggiunta un’altra: quali sono i costi correlati alla disabilità in senso stretto e quali derivano invece da barriere e assenza di facilitatori che condizionano la partecipazione alla società? «Si tratta di un interrogativo tutt’altro che peregrino poiché nel primo caso si tratterebbe di una spesa di ambito sanitario o riabilitativo — spiega — Nel secondo di un costo di più ampia e vaga natura socialeMa è un distinguo spesso irresolubile nell’individuare le concause». La spesa per l’acquisto di un ausilio è correlata alla disabilità ed è una spesa prevalentemente di ambito sanitario, l’adattamento di un veicolo deriva in ampia misura dall’inaccessibilità dei trasporti pubblici, la necessità di un accompagnatore è mirata a uscire di casa, andare al lavoro, a fare la spesa. «La conclusione è che, comunque, la disabilità comporta dei costi supplementari rispetto agli altri cittadini», dice. Ma in che misura questi costi ricadono sulle famiglie?

 

«Quando ci riferiamo ai costi per la disabilità non pensiamo solo a quelli diretti ed economici, ma anche a quelli indiretti spesso più ingenti sui quali non sempre c’è una consapevolezza diffusa, come ad esempio i mancati introiti», precisa Daniela Bucci, direttore di Condicio.it. Rinunciare al lavoro, come è stata costretta a fare Sara Bonanno, o chiedere un part-time per assistere un familiare, genera un mancato reddito, la perdita di versamenti previdenziali e la rinuncia alla realizzazione in ambito lavorativo. «Parliamo di un fenomeno tutt’altro che marginale e il cui costo è a carico delle famiglie», aggiunge. Secondo l’Istat sono più di 15 milioni le persone che in Italia si prendono cura di figli coabitanti con meno di 15 anni, di altri bambini della stessa fascia di età e/o di anziani, malati o con disabilità. Tra le donne che hanno cura di anziani o adulti non autosufficienti il 22% riferisce di lavorare part-time, mentre il 15,5% dichiara l’impossibilità di lavorare. Circa un terzo delle risorse impiegate nell’assistenza a persone disabili ricade sulle famiglie (Fonte Network non autosufficienza). Il lavoro di cura privato pesa sulle famiglie per oltre 9,4 miliardi di euro, di cui solo 2,6 corrispondono a lavori regolari. «Quasi superfluo è il richiamo alla spesa integrativa sanitaria e di riabilitazione e ancor più di tipo socio-sanitario cioè quella parte di costo della salute che non è coperto dal Servizio sanitario nazionale o su cui viene richiesta una compartecipazione», precisa Bucci.

 

Servizi alla persona, trasferimenti economici (soprattutto pensioni e assegni di invalidità e indennità di accompagnamento per un totale di circa 17 miliardi di euro all’anno) e agevolazioni lavorative e fiscali sono gli interventi dello Stato a sostegno della disabilità. «Nonostante la teorica costrizione dei Lea sanitari e socio-sanitari e a causa dell’assenza di Lea assistenziali, ci sono forti disomogeneità territoriali nella qualità e quantità dei sostegni che, anche nei territori di eccellenza, risultano insufficienti ai bisogni reali con un ricorso a servizi privati — dice Giacobini – mentre l’indennità che dovrebbe essere una misura compensativa di servizi non resi, spesso funge da forma di sostegno al reddito». A questo si aggiungono gli stanziamenti statali a sostegno della non autosufficienza (500 milioni di euro per il 2019) e le politiche e i servizi gestiti dai Comuni, «tavolta disorganici e frammentari, complice anche la progressiva riduzione delle risorse destinate agli enti locali— spiega Giacobini — La spesa in protezione sociale per la disabilità è cresciuta in Italia negli ultimi anni, arrivando a superare i 28 miliardi di euro pari all’1,7% del Pil, anche se la spesa procapite rimane considerevolmente più bassa se messa a confronto con gli altri Paesi europei».

 

DISABILITÀ E IMPOVERIMENTO

 

Esiste una correlazione tra disabilità e deprivazione socio-economica? Studi nazionali e internazionali dicono di sì. «Per affrontarla servirebbero opportune politiche e misure di contrasto e sarebbe fondamentale conoscere entità, caratteristiche e distribuzione del fenomeno», dice Bucci. In Italia ci sono circa 3,2 milioni di persone con almeno una limitazione funzionale, di cui 2,5 milioni sono over 65. Circa la metà delle persone disabili non anziane vive in famiglia, 269 mila coabitano con uno o entrambi i genitori, un terzo vive con il partner e/o con i figli mentre sono 52 mila quelle che vivono da sole (Dati Istat). Da un’indagine dell’Istat del 2013 emerge che la metà delle persone disabili con più di 15 anni giudica scarse o insufficienti le risorse della propria famiglia, a fronte del 39,3% della popolazione totale. Il Rapporto Osservasalute 2016 dice che le famiglie con un membro disabile hanno maggiori difficoltà a soddisfare i bisogni sanitari per motivi economici. Qualche anno fa, l’Associazione Con noi e dopo di noi di Castiglione delle Stiviere (Mantova) ha realizzato un’indagine per capire quanto costa un disabile grave alla famiglia. Dai dati emersi risulta che le spese annuali di mantenimento di una persona non autosufficiente sono superiori a 13 mila euro annui, mentre le entrate (da pensione di invalidità e accompagnamento) superano di poco i 9 mila euro. I familiari coprono i costi di mantenimento con risorse proprie e gli assicurano l’assistenza per un valore economico di circa 25–30 mila euro.

 

IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO?

 

Dopo la pubblicazione del ‘contratto’ del nuovo governo, Elena e Maria Chiara Paolini hanno rilanciato la loro protesta. «Anche se a livello regionale registriamo dei piccoli miglioramenti, la stessa cosa non si può dire a livello nazionale — dicono — Negli ultimi anni non c’è mai stato molto interesse per le persone disabili e con l’attuale governo le cose vanno, se possibile, ancora peggio. I disabili sono usati per raccogliere consensi, non c’è nessuna intenzione di dare risposte, anzi si è scelto di parificare la pensione di invalidità a qualsiasi altro reddito». Ecco perché tra qualche mese, la rete #Liberidifare tornerà in piazza. «Nei mesi precedenti alla discussione e all’approvazione della legge di bilancio vi sono stati annunci che facevano ben sperare, come l’ipotesi di aumentare le provvidenze assistenziali per invalidità civile e l’intento di rafforzare le misure di contrasto alla povertà intraprese dal governo precedente, istituendo il reddito e la pensione di cittadinanza», dice Giacobini. La prima ipotesi si è rivelata infondata, al secondo sono stati destinati poco meno di 6 miliardi di euro per il 2019 a fronte di circa 5 milioni di persone in povertà assoluta. «Il movimento delle persone con disabilità ha evidenziato come la disabilità sia uno dei primi elementi determinanti del rischio di impoverimento e di povertà assoluta, sostenendo quindi l’opportunità di prevedere una maggiore attenzione a queste situazioni — continua — Purtroppo, nonostante le varie proposte emendative, il testo conserva pesanti lacune e tratta meno favorevolmente i nuclei in cui è presente una persona disabile rispetto agli altri». Va ricordato, tra l’altro, che le provvidenze assistenziali vengono considerate al pari del reddito da lavoro ai fini dell’accesso al reddito di cittadinanza e al calcolo dell’importo.

 

Tra chi farà domanda per il reddito di cittadinanza c’è anche Sara Bonanno: «Certo che abbiamo i requisiti — dice – però il sostegno che riceve mio figlio verrà calcolato ai fini dell’Isee e saremo penalizzati: prenderemo meno di una famiglia nella stessa situazione, ma senza disabili. L’invalidità e l’accompagnamento non sono ricchezza, ma servono ad attenuare uno svantaggio».

 

L’INCHIESTA CONTINUA

 

Abbiamo dedicato la prima parte dell’inchiesta ai costi della disabilità: costi diretti come spese sanitarie, assistenziali o riabilitative ma anche indiretti come quelli legati, ad esempio, alla rinuncia/mancanza del lavoro con tutto ciò che comporta in termini di perdita di reddito e contributi previdenziali, per non parlare dell’addio alla realizzazione personale. Il lavoro è uno degli strumenti più importanti per combattere l’impoverimento, anche per le persone con sclerosi multipla.

Ne parliamo nella seconda parte dell’inchiesta dedicata a “I costi della sclerosi multipla”, continua a leggerla su SM italia 2/2019 [apri il pdf]