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29/05/2012

Fattori di rischio nella sclerosi multipla: uno studio internazionale caso-controllo

 

In occasione del Convegno FISM 2012 incontriamo Maura Pugliatti - Professore Associato di Neurologia del Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale presso l’Università degli Studi di Sassari - che ci aiuta a capire l’impatto che potrebbe avere l’indagine sui fattori di rischio nella sclerosi multipla sull’identificazione e la realizzazione di nuovi trattamenti per le persone con SM.

 

Di cosa si occupa la sua ricerca?
«Ho iniziato ad occuparmi di ricerca sulla sclerosi multipla in occasione della mia tesi di laurea nel 1994. Dal 1997 seguo pazienti con SM presso il Centro di Diagnosi e Cura per la SM di Sassari e dallo stesso periodo coordino l’aggiornamento periodico della raccolta di casi affetti da sclerosi multipla con esordio e residenza, in particolare, nella Sardegna settentrionale. Questi dati hanno consentito il disegno e la pubblicazione di studi epidemiologici di incidenza, prevalenza e di cluster spazio-temporali sulla SM in Sardegna, e hanno contribuito all’effettuazione di studi di natura virologica e immunogenetica. In particolare, però, questo sforzo ha contribuito notevolmente alla sorveglianza epidemiologica passiva e in parte attiva della SM nella nostra popolazione negli ultimi 50 anni circa. Data la rilevanza e l’opportunità unica di avere questi dati a disposizione, il mio ambito di ricerca negli ultimi anni è stato dunque quello relativo agli aspetti epidemiologici della malattia, non solo attraverso studi di natura descrittiva, ma anche osservazionale (es., studio caso-controllo). Dal 2002, inoltre, collaboro attivamente con la Piattaforma Europea della Sclerosi Multipla (EMSP), organismo della Commissione Europea di consulenza e supporto a favore delle associazioni europee della SM (inclusa l’AISM) e dei cittadini europei con SM, nell’ambito di diversi progetti e diverse iniziative volte a garantire quanto più possibile l’accesso alle cure e ai servizi sanitari specifici a valutare i costi sociali della SM, e in ultima analisi, ad incrementare la qualità di vita delle persone con SM».

 

Cosa si evince dai dati che avete raccolto?
«La SM è una malattia cronica che esordisce in età giovane-adulta, nonostante si registrino casi pediatrici e ad esordio tardivo. Le cause sono sconosciute e l’ipotesi più probabile è che si tratti di una patologia multifattoriale in cui si riscontra la presenza di fattori di rischio (o l’assenza di fattori di protezione) di natura ambientale, che interagiscono fra di loro o con un substrato genetico di popolazione, determinandone il rischio. I nostri studi hanno messo in evidenza innanzitutto il noto elevato rischio per SM nella popolazione sarda ed il continuo lineare e significativo incremento della malattia in questa popolazione, con tassi di incidenza che ora superano i 10 casi per 100.000/anno, e stime di prevalenza intorno a 270 per 100.000. Hanno dimostrato, analogamente ad altri lavori su altre popolazioni, che il rischio aumenta proporzionalmente nelle donne e per le forme a esordio con recidiva. Abbiamo osservato un cluster spazio-temporale nei primi anni di età di individui che in seguito sviluppano SM, ad indicare la possibilità, dunque, che queste persone siano state esposte ad uno o più fattori di rischio (o non esposti ad uno o più fattori di protezione) sviluppando quindi il tratto per la SM. Queste evidenze preliminari hanno portato alla necessità di chiarire il ruolo di potenziali agenti eziologici ambientali, dalla nascita e nelle varie fasce di età di individui che hanno sviluppato SM e, per confronto, in diverse popolazioni con diversa distribuzione della malattia e di fattori ambientali».

 

Come si inseriscono nel panorama internazionale e nazionale queste ricerche?
«La ricerca sui fattori ambientali potenzialmente associati al rischio per SM è attualmente uno degli ambiti di ricerca più importanti sulla malattia a livello mondiale. Ciò è frutto, penso, di due considerazioni: (1) l’incremento di frequenza di SM che si osserva pressoché in tutte le popolazioni negli ultimi decenni potrebbe essere in parte legato a un miglior accertamento diagnostico, ma difficilmente a fattori di natura esclusivamente genetica; è valsa senz’altro la pena di riconsiderare il ruolo di singoli fattori ambientali, dell’interazione fra gli stessi e con fattori genetici; (2) gli studi genetici condotti in particolare negli ultimi 20 anni con metodiche e tecniche sofisticate non hanno permesso di individuare in modo consistente e universale aspetti fortemente associati alla SM, fatta eccezione degli aplotipi appartenenti al sistema HLA (cromosoma 6)».

 

Cosa ci può dire dello studio che presenta al Congresso FISM?
«Lo studio che la FISM ha finanziato per la gran parte, e relativo all’analisi sulla pregressa (età specifica) esposizione a determinati fattori ambientali e lo sviluppo di SM nacque in realtà negli anni Novanta nell’ambito di un gruppo di studio coordinato dalla Prof.ssa Christina Wolfson (McGill University, Montreal, Canada), il Prof. Trond Riise (University of Bergen, Norvegia) e comprendente anche esponenti della ricerca epidemiologica sulla SM in Italia (Prof. Enrico Granieri, Università di Ferrara). Grazie anche al finanziamento FISM è stato possibile negli ultimi anni realizzare un questionario (in sette lingue) per la raccolta dei suddetti dati con metodologia confrontabile anche se in diverse popolazioni. Il questionario ha permesso di raccogliere da soggetti con SM e controlli sani informazioni relative all’esposizione ai seguenti fattori ambientali di interesse: esposizione alla luce solare e relative abitudini, caratteristiche del fototipo (colore della pelle, reazione della pelle al sole), tipologia di dieta e assunzione di supplementi vitaminici (stato metabolico della vitamina D), infezioni tipiche della prima infanzia con particolare riferimento alla mononucleosi infettiva quale espressione dell’infezione dal Epstein Barr virus (EBV), elementi di stile di vita (abitudine al fumo di sigaretta, attività fisica) e esposizione a fattori occupazionali. Lo studio è stato condotto nella popolazione sarda, della provincia di Ferrara, in Norvegia, in Svezia, in Serbia ed è in fase di svolgimento (ma su fondi di ricerca locali) in Canada e in Cuba».

 

Quali ritorni possono avere i vostri studi sull’identificazione e la realizzazione di nuovi trattamenti e, più in generale, sulla vita delle persone con SM, sulla qualità, sulla possibilità di scegliere come curarsi al meglio?
«I risultati preliminari di questo studio mostrano, per ora, che il rischio per SM, sia nelle popolazioni europee settentrionali che meridionali, aumenta in rapporto all’abitudine al fumo di sigaretta, a una ridotta esposizione alla luce solare soprattutto in età infantile-adolescenziale, all’infezione da mononucleosi infettiva e all’aumento del peso corporeo sempre in età adolescenziale. Questi fattori almeno sembrerebbero determinare il rischio in maniera individuale, ma si stanno al momento analizzando possibili interazioni».

 

La conferma di questi dati cosa potrebbe suggerire?
«La conferma di questi dati potrebbe portare a considerare che la malattia possa dipendere da fattori di stile di vita, potenzialmente modificabili attraverso interventi di prevenzione nella popolazione allargata (es., fortificazione dei cibi con vitamina D, riduzione dell’abitudine al fumo di sigaretta), magari in determinate fasce di età. La correzione di questi fattori potrebbe anche, pur in associazione con le terapie farmacologiche immunomodulanti classiche per la malattia, teoricamente portare a una modificazione del decorso della malattia, se questo fosse determinato dagli stessi fattori che ne derminano l’insorgenza».

 

Cosa si possono aspettare le persone con SM dalla ricerca nel prossimo futuro?
«La SM è una malattia notevolmente complessa, più di quanto non si possa pensare. L’assenza di un marker biologico che ne permetta una diagnosi in maniera univoca e sostenibile, la caratteristica del suo decorso a recidive e remissioni, pongono problematiche anche nella ricerca e possono portare, ricercatori e persone con SM, alla falsa convizione di aver trovato la causa vera o la terapia giusta. Tuttavia, credo che la ricerca sulla SM nei suoi vari ambiti abbia compiuto passi da gigante negli ultimi anni, quanto meno nell’identificare almeno in parte le cause alla base della malattia, nuove possibilità di trattamento, il costo ed il carico sociale della malattia nella società e l’accesso dei pazienti a centri specializzati, alla corretta informazione e alle terapie in maniera quasi individualizzata. Tutto ciò è stato possibile solo attraverso la partecipazione attiva delle persone con SM alla ricerca e grazie al sostegno finanziario di associazioni come AISM con la sua Fondazione FISM».

 

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