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27/05/2014

Il ruolo dell’alimentazione nella SM: la dieta a supporto della terapia

Chiarire quali sono gli effetti della nutrizione sul decorso della sclerosi multipla, a livello molecolare e cellulare; conoscere in dettaglio l’azione delle molecole della dieta per capire i motivi per i quali un paziente con SM può sperimentare una sensazione di benessere nonostante la malattia, e tollerare meglio l’assunzione di un farmaco, senza interferire con la terapia. È con questo obiettivo che dal 2004 Paolo Riccio, Biochimico e Neurochimico, già del Dipartimento di Biologia, Facoltà di Scienze, Università della Basilicata a Potenza, porta avanti le sue ricerche grazie anche ai finanziamenti FISM. Studi pionieristici e innovativi che hanno dato delle indicazioni chiare in laboratorio e in clinica a riguardo del controllo dell’infiammazione cronica intestinale e sistemica per mezzo di uno stile di vita adeguato.

Una dieta ipercalorica, ricca di sale, grassi animali, carni rosse, bevande zuccherate, fritture, e priva di fibre è nemica delle persone con SM: l’infiammazione può aumentare e il decorso della malattia può peggiorare. Al contrario, una dieta basata su pesce, verdure, frutta, legumi e fibre, contrasta l’infiammazione cronica e agisce in maniera positiva sulla flora intestinale, contrastando la malattia. I nutrienti agiscono su alcuni “interruttori” cellulari: gli alimenti “nemici” favoriscono la sintesi di molecole infiammatorie, gli “amici” invece la inibiscono. L’alimentazione, agendo anche a livello della flora intestinale, favorisce la crescita di batteri “cattivi” o “buoni”.

Le nostre ricerche in questo campo sono state le prime a dare concretezza al legame fra dieta e SM: abbiamo dimostrato quali sono i meccanismi molecolari con la quale la dieta può influenzare il decorso della malattia. Lo studio di questa relazione può portare a scoprire nuovi meccanismi patogenetici della malattia”, spiega Riccio. Diminuire i livelli di infiammazione e la disbiosi intestinale attraverso la dieta rappresenta quindi una strategia che aiuta a migliorare il decorso della malattia e a prevenire l’insorgenza delle ricadute.

Traducendo le evidenze scientifiche in scelte quotidiane, il paziente con SM deve preferire una dieta non eccessivamente calorica, abbinata a un moderato esercizio fisico, e basata su pesce, verdure, legumi, frutta, piccole porzioni di carboidrati integrali, fibre, olio extra vergine di oliva, acqua, succhi di frutta non zuccherati, soia e tè nero”, chiarisce Riccio. “La nutrizione riesce a limitare gli effetti della stanchezza di cui soffrono molte persone con SM e può aumentare l’efficacia di alcune terapie, ma non può certo agire come un farmaco. Mangiare in maniera appropriata aiuta il paziente migliorando lo stato di benessere e rendendo più efficace la terapia”.

Per alcune malattie autoimmuni, come il morbo di Crohn, l’associazione fra flora batterica intestinale e insorgenza della malattia è intuitiva ma, per le malattie autoimmuni che colpiscono organi lontani dall’intestino, come la salute della flora intestinale possa influenzarne lo sviluppo appare meno chiaro. Gettano luce su questo punto gli studi condotti da Luca Battistinidell’Unità di Neuroimmunologia della Fondazione Santa Lucia di Roma, sostenuti da FISM con 50 mila euro.

“Le nostre ricerche hanno dimostrato che nel sangue delle persone con SM è presente un numero superiore alla media di cellule MAIT, cellule residenti nell’intestino che sono la spia dell’infiammazione e che sono in grado di penetrare nel sistema nervoso centrale”, spiega Battistini. Inoltre, la frazione di cellule MAIT aumenta mano a mano che la malattia progredisce. È la prova di un’azione a distanza: una flora intestinale disbiotica, dove cioè sono presenti batteri che producono sostanze infiammatorie, provoca un aumento di cellule pro-infiammatorie in tutto l’organismo, cervello compreso. Evidenza confermata da alcuni studi autoptici che hanno evidenziato come nel cervello di persone con SM queste cellule siano presenti in grande quantità. “I risultati del nostro studio pongono le basi per capire come il l’alterazione della flora batterica intestinale, disbiosi, può causare una risposta immunitaria proinfiammatoria che riguarda distretti dell’organismo, che non siano solo l’intestino, come ad esempio il cervello”, conclude Battistini.