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17/06/2018

La storia di AISM. 50 anni di ricerca scientifica sulla sclerosi multipla

50 anni fa la sclerosi multipla era un mistero e le persone che ne erano colpite vivevano un vero incubo fatto di incertezza, mancanza di terapie e di servizi, di solitudine. Oggi il mondo della SM è cambiato. Ecco le principali conquiste della ricerca scientifica

 

 

50 anni fa la sclerosi multipla era un mistero e le persone che ne erano colpite vivevano un vero incubo fatto di incertezza, mancanza di terapie e di servizi, di solitudine. La nostra storia parte da una famiglia che non vuole accettare tutto questo.

 

Oggi le persone con sclerosi multipla devono affrontare tante difficoltà, ma rispetto alla fine degli anni Sessanta sono cambiate molte cose.

 

Nei prossimi mesi ricorderemo la strada percorsa insieme. Affronteremo alcuni temi cardine della storia di AISM, come l’evoluzione della ricerca e il ruolo dell’Associazione nella sua promozione. L’importanza dell’informazione sulla sclerosi multipla, un compito che AISM ha avuto fin dai suoi primi giorni. L’impegno diretto al fianco delle persone con SM, dall’assistenza dei primi anni per far uscire di casa le persone ai principi espressi nell’Agenda della SM 2020. E ancora, il rapporto con le istituzioni e la spinta verso l’advocacy, cresciuta negli anni. Infine, le sfide che ancora ci attendono e le cose che è necessario fare per migliorare la vita delle persone con SM. Percorreremo le tappe di questo cammino insieme alla rivista dell'Associazione Italiana Sclerosi Multipla, SM Italia.

 

La ricerca scientifica, quella sulla sclerosi multipla in particolare, ha compiuto passi da gigante negli ultimi 50 anni. Vediamo insieme alcune delle tappe più significative insieme ai protagonisti, i migliori ricercatori in questo campo, che sono stati al fianco dell’Associazione in tutti questi anni.

 

Gli esordi

«All’inizio la ricerca sulla SM era molto artigianale e, prevalentemente, di tipo clinico/osservazionale», ricorda Gianluigi Mancardi, direttore della Clinica neurologica dell’Università di Genova e Presidente della Società italiana di neurologia. Conferma anche Angelo Ghezzi del Centro SM di Gallarate, pioniere nel campo della SM essendo stato il primo, dal 1963, dedicato alla diagnosi, alla cura e all’assistenza delle persone con SM. «All’epoca della SM si sapeva poco o niente. I primi studi si concentravano sull’anatomia patologica, e su studi clinici». Il Prof. Giancarlo Comi, Professore Ordinario di Neurologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale (INSPE) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, aggiunge: «gli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 sono stati dominati da molte ricerche in ambito epidemiologico. Erano gli anni in cui ci si proponeva di conoscere meglio il fenomeno sclerosi multipla».

 

Come ben sappiamo avendo affrontato l’argomento nel capitolo precedente di questa storia, dedicato all’evoluzione di AISM, una delle prime indagini epidemiologiche sulla sclerosi multipla in Italia fu promossa e condotta proprio dall’Associazione delle persone con SM a metà degli anni Settanta.

 

Non solo le persone colpite non avevano strumenti per far fronte a una patologia misteriosa, anche i neurologi e i ricercatori erano alla ricerca di punti fermi: «non c’erano indicazioni su cosa potesse essere questa malattia, da cosa era caratterizzata. Non c’erano strumenti diagnostici, si faceva una diagnosi clinica. C’era qualche tentativo di usare il cortisone come terapia», dice Mario Alberto Battaglia, Presidente FISM.

 

Ancora nel 1981 in occasione di una conferenza tenuta in Italia Byron Waksman, scienziato di fama mondiale e Direttore della ricerca dell’Associazione SM americana disse: «tutti vorremmo avere un buon test da eseguirsi semplicemente in laboratorio […] che ci permetta di dire: questo paziente ha la SM. Non esiste questo tipo di test».

 

Nei successivi vent’anni, tuttavia, due percorsi di ricerca hanno portato ad una vera rivoluzione nella diagnosi, nel monitoraggio e nel trattamento della sclerosi multipla, cambiando in modo concreto la vita delle persone con SM.

 

 

50 anni senza fermarsi mai

Nel 1968, AISM era una piccola associazione creata da persone con sclerosi multipla e dai loro familiari.

Da allora, ne abbiamo fatta di strada.

Scopri la nostra storia

 

 

La Risonanza magnetica

 

«Agli inizi degli anni ’80 si era alla ricerca di un marcatore di malattia allora inesistente», dice il Prof Massimo Filippi, Università Vita e Salute, San Raffaele Milano, uno dei massimi esperti mondiali nel campo dell’imaging nella ricerca sulla sclerosi multipla.

 

Un nuovo strumento capace di trasformare segnali magnetici in immagini, la risonanza magnetica, che valse il Premio Nobel ai suoi inventori, ha permesso di individuare quei marcatori. Già con le primissime risonanze, ancora di un livello tecnologico che oggi sembrerebbe primitivo, si riuscivano a vedere molte più lesioni cerebrali dovute alla sclerosi multipla rispetto a quelle visibili con la TAC, tecnica utilizzata allora.

 

Il professor Mc Donald, che ha dato il nome ai criteri diagnostici della SM oggi universalmente condivisi, è stato uno dei pionieri dell’introduzione della risonanza nella SM. All’inizio degli anni ‘90 si utilizzava un magnete con una potenza di ‘0,15 tesla’ e si ottenevano in questo modo immagini solo parziali del cervello. Oggi è aumentata la potenza del magnete, i macchinari utilizzati per la ricerca arrivano anche a 7 tesla e più.

 

Negli ultimi trent’anni l’evoluzione tecnica è andata di pari passo con il coinvolgimento della risonanza nella diagnosi, nel monitoraggio e nella ricerca sulla sclerosi multipla. «La risonanza è fondamentale per avere una diagnosi precoce e quindi un trattamento precoce. Questa è una grande conquista che ha cambiato in meglio la vita delle persone con SM», dice ancora Filippi, «d’altra parte è stata importantissima per la comprensione dei meccanismi della SM, che portano a disabilità cliniche, soprattutto motorie ma anche cognitive». Con la risonanza magnetica funzionale si è fatto un ulteriore passo avanti, arrivando a capire che ci sono meccanismi di compensazione e di recupero dei danni legati alla SM. E che questi possono essere funzionanti e meno.

 

Trattare la SM. In 16 terapie in 25 anni

 

Il dottor Domenico Caputo (IRCSS Don Carlo Gnocchi, Milano), un altro dei ‘neurologi storici’ coinvolti a lungo nella ricerca e nella cura della SM, per anni membro anche del Consiglio Direttivo Nazionale di AISM, evidenzia il secondo cambiamento epocale arrivato nella storia della SM: «Quando ho iniziato la mia professione medica, nel 1973, conoscevamo poco della SM. Si usavano solo terapie cortisoniche. La SM allora era, di fatto, una malattia incurabile e il primo dovere era fare ricerca per trovare le risposte che non c’erano».

 

Qualche tentativo di utilizzare altre terapie venne fatto, come dice il Prof Comi. «Già era stato suggerito l’uso di farmaci immunosoppressori, in particolare la ciclofosfamide. Ma se ne faceva allora, in mancanza di conoscenze consolidate, un uso errato, nel senso che si somministrava questo tipo di approccio solo nelle fasi più avanzate: fino a quando uno stava dignitosamente non si dava niente, si usava un approccio conservativo; si iniziava a proporre un immunosoppressore quando ormai la persona era arrivata a una disabilità consistente. E l’impressione che ne era derivata da parte di tutti era che queste terapie non servissero a niente».

 

Si intravedevano in quell’epoca i primi piccoli studi su copolimero (copaxone) e sull’interferone nella SM. Il vero punto di svolta avviene nella prima metà degli anni Novanta. «Nel 1993 arrivarono i primi risultati consistenti sull’uso dell’interferone Beta 1 B e qui veramente inizia la storia della terapia della sclerosi multipla: da lì in avanti è stato un continuo crescere di conoscenze su questa malattia e sul trattamento», dice ancora Comi.

 

Questi farmaci dimostravano per la prima volta, come dice il Prof Salvetti, «di ridurre di un terzo la probabilità di ricadute». Era una svolta concreta ed epocale: «la SM fino agli inizi degli anni ’90 aveva la pessima reputazione di essere incurabile – dice il Prof Angelo Ghezzi - a un certo punto si dimostrava che invece era curabile, che era possibile curarla con dei farmaci».

 

La storia dei trattamenti, da allora, ha visto un susseguirsi di scoperte. Dopo l’escalation degli interferoni tra gli anni Novanta e Duemila, un’altra grande innovazione, ha cambiato concretamente la vita delle persone con SM, l’introduzione di terapie orali per la SM. Per primo fu fingolimod, seguito poi da dimetilfumarato e teriflunomide.

 

Oggi sono 16 i farmaci approvati per la SM. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati Cladribina, farmaco orale per le forme recidivanti-remittenti, e Ocrelizumab, utilizzabile sia nelle forme a ricadute e remissioni che nelle forme primariamente progressive con presenza di attività infiammatoria.

 

Certamente la ricerca sulle forme progressive è il grande imperativo di questi anni. Le associazioni come AISM, che hanno creato la Progressive MS Alliance per unire gli sforzi dei ricercatori di tutto il mondo e della stessa industria, stanno dando un grande impulso per arrivare alla meta.

 

 

 

Prima si inizia meglio è

Un altro snodo fondamentale arrivò nel 2000-2001, quando fu dimostrata l’efficacia del trattamento con interferone già nelle fasi CIS, ossia quando c’è stato un solo attacco infiammatorio, clinicamente rilevato, della malattia. «Le evidenze scientifiche ottenute dai ricercatori – ricorda Comi - dimostravano che trattare le persone sin dal primo attacco di malattia, senza aspettare altre ricadute, faceva stare meglio le persone. In quel momento storico nessuna delle malattie neurologiche veniva trattata nella fase precoce: si riteneva dannoso iniziare a ‘disturbare’ con i vari effetti collaterali le persone che non erano ancora arrivate a una disabilità evidente. Noi fautori del trattamento precoce eravamo accusati di voler trattare non le persone con la loro storia reale, ma la malattia vista nelle immagini della risonanza. Ci volle del tempo, ma la scelta del trattamento precoce cambiò il paradigma della cura e la storia delle persone. Oggi sappiamo con certezza che iniziare a curarsi subito significa avere la possibilità di vivere per molti anni una vita di qualità».

 

Oggi sono disponibili diversi trattamenti di notevole efficacia, c’è la possibilità di tarare le opzioni terapeutiche sulla singola persona. Mancano purtroppo ancora trattamenti che consentano di recuperare il danno neurologico. Il realistico sogno di tutti oggi è questo: un futuro dove anche chi è stato danneggiato dalla malattia possa recuperare in pieno la propria vita.

«Fermo restando che nella vita in generale e certamente anche nella SM non si può mai dire cosa succederà domani - dice il Prof Marco Salvetti, Centro Neurologico e Terapie Sperimentali (CENTRES), Università La Sapienza di Roma - il discorso che faccio oggi ai miei pazienti è questo: mettiamo che arriviamo a 80 anni ed è andato tutto bene. Se arriviamo a 80 anni avendo vissuto sempre con la paura di quello che poteva andare male gli anni indietro non ce li ridà più nessuno. E un discorso del genere (con le terapie che abbiamo ndr) oggi si può fare».

 

 

AISM nella storia della ricerca sulla SM

La storia di AISM è intrecciata a doppio filo con quella della ricerca sulla sclerosi multipla, l’Associazione ha avuto un ruolo trainante e innovativo fin dai suoi primi anni, contribuendo in modo determinante a far conoscere la patologia quando, come abbiamo visto, le conoscenze erano ridottissime e le persone colpite non avevano alcuna arma.

 

 

Il primo fondo nazionale per la ricerca


AISM è stata una delle prime organizzazioni ‘laiche’ ovvero fuori dall’ambito pubblico e accademico a individuare una serie di criteri trasparenti e meritocratici per assegnare le risorse», aggiunge. Il primo Fondo per la ricerca fu creato dall’Associazione nel 1986 su proposta di Mario A. Battaglia e Rita Levi Montalcini. «Le risorse provenivano dalle Sezioni e dalle prime raccolte fondi – ricorda Battaglia – Era di 200 milioni di lire, che in quegli anni erano soldi». Per assegnarli l’Associazione, invece di un finanziamento ad personam, nel 1986 crea il primo Bando per la ricerca e adotta la peer review per l’assegnazione dei fondi e organizza la prima raccolta fondi per la ricerca.

 

 

La peer review

La peer review, il meccanismo di selezione dei progetti che si basa sulla valutazione indipendente e in cieco da parte di più revisori, in Italia non era mai stata utilizzata. «All’epoca fu deciso che i nostri soldi li avremmo dati solo così – continua Battaglia».

Negli anni Novanta la peer review è stata utilizzata dall’Istituto Superiore di Sanità per un progetto sulla sclerosi multipla finanziato (su richiesta AISM) dall’allora ministro della Sanità, Mariapia Garavaglia. Il progetto mirava a una migliore comprensione della malattia e a cercare strategie terapeutiche nuove. Grazie a un finanziamento di 8 miliardi di lire, più altri 2 stanziati dall’Associazione, hanno permesso di finanziare circa 80 progetti di ricerca che hanno fatto la differenza nella conoscenza della SM.

«Grazie ad AISM si è instaurata in Italia una forte ricerca di base per la comprensione della malattia, si è iniziato a fare ricerca di tipo immunologico e riabilitativa, un settore molto richiesto dalle persone con SM», spiega il Prof. Gianluigi Mancardi, direttore DINOGMI Università degli Studi di Genova.

 

La ricerca immunologica

Tra i primi ricercatori a occuparsi di immunologia in AISM c’è Antonio Uccelli, attuale direttore scientifico dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova. «Nel 1990 sono stati pubblicati due lavori che rappresentano la pietra miliare nella storia di questa patologia perché, per la prima volta, davano un’interpretazione della sclerosi multipla come malattia causata da una disfunzione del sistema immunitario. E così ho iniziato a occuparmi di immunologia». Dopo un’esperienza determinante negli Stati Uniti nel 2000 è nuovamente in Italia a collaborare con il Prof Gianvito Martino, attuale direttore scientifico del San Raffaele di Milano.

Entrambi portano avanti i loro studi sulle cellule staminali da circa 15 anni ormai, con il sostegno di AISM e la sua Fondazione. Questo impegno pionieristico ha portato in tempi recenti ai primi trial sull’uomo, sia per le cellule staminali mesenchimali su lavoro il dott. Uccelli, sia per le staminali neurali su cui è impegnato il Prof Martino.

 

Gli aspetti genetici e i fattori di rischio

Un altro ambito di ricerca che ha segnato diversi passi avanti nella conoscenza della sclerosi multipla è quello sulle cause genetiche e suoi fattori di rischio. «Il primo studio di questo tipo (sulla genetica nella SM ndr) è stato dieci anni fa – dice il Prof. Marco Salvetti – da allora c’è stato un progresso enorme nella comprensione delle cause genetiche di questa malattia. Oggi riusciamo a fare studi sull’intero genoma, sull’intero DNA delle persone in maniera sempre più puntuale, precisa e rapida». Certo, specifica, Salvetti, questo non significa che si siano comprese le cause genetiche della patologia, perché purtroppo tutti i fattori genetici di rischio identificati, presi singolarmente hanno un peso molto basso nel determinare il rischio di avere la malattia. Guardati nel loro complesso, ci dicono qualcosa di importante di questa malattia, sia per gli aspetti genetici, ma anche per la componente ambientale. Da questi studi per esempio, è emerso che alcuni stili di vita, determinati virus, la carenza di vitamina D, il fumo, aumentano il rischio di avere la SM.

 

Il presente e le sfide future

 

Oggi AISM è il primo ente italiano impegnato nella ricerca sulla SM e il terzo a livello mondiale. Attraverso la sua Fondazione, l’Associazione ha investito 65 milioni di euro negli ultimi 10 anni, sostenendo il lavoro di 409 ricercatori dal 1987 a oggi. Solo nel 2017 sono stati finanziati 34 progetti. E con il Bando 2018 FISM mette a disposizione 5 milioni di euro.

«Quando sono arrivata in AISM mi sono chiesta cosa significasse fare ricerca in una realtà come questa – racconta Paola Zaratin, Direttore dell’Area Ricerca Scientifica, in AISM dal 2010 dopo un’esperienza accademica di tre anni e di 22 nelle multinazionali farmaceutiche – e la risposta che mi sono data è che l’approccio doveva consentire non solo il finanziamento ma anche lo sviluppo della ricerca ovvero la possibilità che questa si traducesse in risultati concreti per le persone». Zaratin ha lavorato a una mappa strategica di finanziamento della ricerca che ha consolidato il modello costruito da AISM negli anni, un modello che punta all’innovazione. «La svolta per l’Associazione è stato capire, consolidare e potenziare il concetto che fare ricerca significa finanziare i progetti, sostenere i ricercatori e dare loro le infrastrutture necessarie», Zaratin. Ne è un esempio la macchina per la risonanza magnetica da 3 Tesla acquistata per il Policlinico San Martino di Genova.

 

Oggi AISM è leader in due progetti il cui obiettivo è dare risposte alle persone: quello internazionale sulle progressive e quello sul Registro italiano sclerosi multipla. «È questo uno dei grandi cambiamenti di questi ultimi 8 anni: sono entrata in uno scenario in cui la Fondazione era impegnata a investire in progetti di ricerca innovativi provenienti dai ricercatori e in questi anni si è portata verso una ricerca che sia strumento di advocacy». Tra i risultati della ricerca targata AISM, Zaratin ricorda in primis l’iniziativa di data sharing: oggi sono più di 140 i Centri clinici sul territorio che raccolgono i dati dei pazienti (oltre 2 mila quelli registrati) che serviranno per diagnosticare meglio la malattia e monitorare l’efficacia dei trattamenti. E la neuroriabilitazione: la ricerca ha dimostrato che questo trattamento ha un impatto sulla malattia e che quindi non è un approccio desiderabile ma necessario.