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30/09/2020

Caccia ai biomarcatori, la sfida per diagnosticare le forme progressive di sclerosi multipla

 

La sclerosi multipla (SM) è una malattia che può presentarsi in più forme e può cambiare nel tempo. La diagnosi dei diversi tipi di SM, e soprattutto l'identificazione del passaggio da una forma all'altra – tipicamente da una forma a esordio recidivante-remittente ad una secondariamente progressiva – non è sempre semplice, anzi. Si tratta di un processo che richiede tempo, basato sulla valutazione di diversi parametri da parte del clinico, e solitamente avviene retrospettivamente, ovvero esaminando la storia del paziente, che non di rado ha anche poca consapevolezza dell'evoluzione della propria malattia.

 

A oggi non esistono criteri universali per l'identificazione delle forme progressive, ma stabilire dei principi quanto più standardizzati e validati dalla comunità scientifica è quanto mai urgente scrive un team di ricercatori guidati dal Prof. Massimo Filippi dell'Università Vita-Salute San Raffaele. Questo perché l'identificazione precoce di forme progressive di SM consentirebbe ai pazienti di accedere precocemente ai trattamenti che iniziano ad essere disponibili anche per queste forme di malattia, ma non solo: migliorerebbe la pratica clinica e aiuterebbe il reclutamento delle persone con SM nelle sperimentazioni cliniche.

 

È con queste premesse che il Prof. Filippi e colleghi si sono riuniti lo scorso anno con l'obiettivo di esaminare i dati disponibili in letteratura, nel tentativo di identificare marcatori più o meno tipici delle forme progressive di sclerosi multipla. La ricerca nel campo è quanto mai attiva, su diversi aspetti. Per questo gli esperti hanno preso in considerazione i risultati ottenuti in campi diversi: dall'analisi istopatologica dei tessuti post-mortem, a quella di marcatori umorali, alla risonanza magnetica, alla PET e alla tomografia ottica computerizzata, che misura lo spessore della retina negli occhi. In molti casi non è possibile identificare dei chiari indicatori della SM progressiva o del passaggio da una forma recidivante-remittente ad una forma progressiva, ma alcune caratteristiche sono più tipiche di altre.

 

Da un punto di vista clinico la forma progressiva di SM si distingue con un graduale e progressivo peggioramento della disabilità, ricordano gli autori sulle pagine di Annals of Neurology, ma si accompagna ad alcune alterazioni rilevabili. Accanto alle scale usate nella pratica clinica per seguire nel tempo come cambia la disabilità nelle persone con SM - ma che acquistano significato soprattutto retrospettivamente - nelle persone con SM progressiva si osservano delle caratteristiche di rilievo nei dati acquisiti tramite risonanza magnetica, sia a livello cerebrale che del midollo spinale, alcune associate alla progressione stessa della malattia. Sono soprattutto quelle che riguardano le lesioni a livello della sostanza grigia e la perdita di volume (definita atrofia) del tessuto nervoso, una misura di neurodegenerazione.

 

«Nei pazienti con forme progressive è stata osservata una più marcata atrofia della sostanza grigia  - scrivono gli autori – che correla con la disabilità clinica e il deterioramento cognitivo». Tendenzialmente anche più rapida rispetto a quanto si osserva nelle altre forme di malattia. Ma non solo: anche i livelli sierici dei neurofilamenti – una sorta di impalcatura delle cellule nervose, rilasciati in presenza di danno neuronale – sono più elevati nelle forme progressive di malattia e si associano alle misure di disabilità, scrivono gli autori. Tanto che potrebbero essere utilizzati come marcatori delle forme progressive di malattia, relativamente facili da individuare nel sangue.

 

Tuttavia, concludono gli autori, sebbene sia possibile riconoscere il passaggio dalle forme recidivanti-remittenti a quelle progressive come una graduale e diffusa neurodegenerazione, con una “compartimentalizzazione della reazione infiammatoria”, ad oggi veri marcatori delle forme progressive di SM non esistono. O meglio: nessuno è stato validato e accettato da agenzie regolatorie. Servono più studi, su più pazienti, che valutino lunghi intervalli di tempo, per capire il reale ruolo di  questi potenziali biomarcatori nella malattia e come cambino in risposta ai trattamenti. E non da ultimo, scrivono gli esperti, serve identificare i livelli per cui considerare patologico – indicatore di qualcosa - o meno un biomarcatore.

 

Referenza

Titolo: Identifying Progression in Multiple Sclerosis: New Perspectives

Autori: Massimo Filippi, Paolo Preziosa, Dawn Langdon, Hans Lassmann, Friedemann Paul, Àlex Rovira, Menno M. Schoonheim, Alessandra Solari, Bruno Stankoff, Maria A. Rocca

Rivista: Annals of Neurolog

DOI: https://doi.org/10.1002/ana.25808