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25/10/2011

CCSVI e SM: l'intervista a Claudio Baracchini

 

Claudio Baracchini opera nel Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Padova. All'ECTRIMS 2011 presenta uno studio sulla relazione tra CCSVI e sclerosi multipla

 

In occasione di Ectrims 2011 il vostro gruppo di lavoro (C. Baracchini, P. Perini, M. Calabrese, F.Causin, F. Rinaldi, P. Gallo) presenta uno studio su CCSVI e Sclerosi Multipla. Di cosa si tratta?
«È la sintesi delle indagini che con il Prof. Gallo abbiamo effettuato a partire dal 2010 su 320 soggetti. Alcuni di questi dati sono già stati presentati in due nostri studi precedenti, ora abbiamo aggiunto altri 50 pazienti e 50 controlli. Utilizzando l’indagine sonologica con Eco-color Doppler, effettuata sempre in cieco - ossia senza che il sonologo esaminatore sapesse se la persona su cui si effettuava l’esame avesse o no la SM - abbiamo indagato la possibile presenza della CCSVI in pazienti con diverse forme di sclerosi multipla e in controlli sani. Per definire o meno la presenza della CCSVI abbiamo utilizzato i criteri diagnostici indicati dal professor Zamboni».

 

Può descrivere più nel dettaglio il campione studiato?
«In totale abbiamo analizzato in cieco 160 persone con SM e 160 controlli sani. I 160 pazienti con SM sono così suddivisi: 50 con diagnosi di possibile SM (pMS), 50 con SM recidivante-remittente (SM-RR), 35 con SM secondaria progressiva (SM-SP), 25 con SM primaria  progressiva (SM-PP)».

 

Quali dati avete ottenuto?
«A livello intracranico non abbiamo riscontrato alcuna alterazione dell’emodinamica venosa, in particolare nessun reflusso. A livello extracranico sui 160 pazienti analizzati abbiamo riscontrato la presenza della CCSVI in 16 persone, ossia il 10%. Con questa suddivisione: 8 con pMS, 4 con SM-RR, 3 con SM-SP e 1 con SM-PP».

 

Avete anche utilizzato l’esame venografico per un’ulteriore indagine?
«Sì, la venografia selettiva definita da Zamboni stesso il gold standard è oggettivamente l’esame che con maggiore sicurezza dimostra la presenza di patologia venosa. Essendo però un esame invasivo, non è possibile utilizzarlo come screening universale, ossia non possiamo sottoporre indiscriminatamente tutti i pazienti a questo esame, tantomeno i controlli sani. Dunque abbiamo sottoposto a venografia, sempre in cieco, solo i 16 soggetti con SM cui avevamo diagnosticato la CCSVI tramite Eco-color Doppler».

 

E in questi 16 soggetti cosa avete osservato?
«Su 14 di questi pazienti (2 non hanno dato il consenso) con diagnosi ultrasonografica di CCSVI secondo il metodo Zamboni abbiamo condotto una venografia selettiva. Solo in 2 abbiamo riscontrato delle alterazioni del drenaggio venoso, in particolare due stenosi delle vene giugulari. Se rapportati al totale dei 160 pazienti indagati, i soggetti con una patologia venosa extracranica accertata tramite venografia rappresentano l’1,25% del totale».

 

Che conclusioni traete dai vostri studi?
«In base ai dati da noi raccolti, è difficile dire che la CCSVI sia la causa della SM. Non si può neppure dire che ne sia una conseguenza o che determini un maggiore rischio di disabilità, dato che abbiamo riscontrato la presenza di patologia venosa solo in una persona con una forma avanzata di SM».

 

Per questo avete intitolato la relazione per ECTRIMS «No need for ‘Liberation’ in MS patients»?
«Tutto il problema della diagnostica della CCSVI gira attorno ai 5 criteri ultrasonografici proposti da Zamboni, che lui stesso non ha mai convalidato in cieco con la venografia selettiva. Ci sono diverse problematiche metodologiche ed errori tecnici nel metodo Zamboni che spiegano molte delle incongruenze dei risultati ottenuti in diversi studi ultrasonografici, oltre alla discrepanza fra percentuali di CCSVI diagnosticata con ultrasuoni rispetto alla percentuale riscontrata con una venografia condotta in cieco. Esiste poi un problema di operatore-dipendenza (o esperienza) dell’indagine ultrasonografica soprattutto nello studio venoso, alla luce anche delle variabilità anatomiche e fisiologiche del sistema di drenaggio ematico cerebrale. Per cui il titolo della relazione esprime la nostra forte preoccupazione nel sapere che, a fronte di queste incertezze diagnostiche, ci siano pazienti con SM che si sottopongono a trattamenti endovascolari (angioplastica e/o stenting) non scevri da complicanze talora gravi. Al momento attuale non c’è un razionale scientifico per permettere questi trattamenti di “liberazione” che quindi vanno fortemente scoraggiati».