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06/02/2013

Sclerosi Multipla. La ''nuova'' ricerca troverà la risposta per le forme progressive

Paola Zaratin
Nelal foto: Paola Zaratin, Direttore Ricerca AISM-FISM
 

 

Un Congresso internazionale a Milano al lavoro con tutti i protagonisti (gli attori) necessari per individuare risposte rapide ed efficaci. L'intervista a Paola Zaratin, Direttore Ricerca Scientifica AISM-FISM

 

«Io ho la SM progressiva da molti anni e sono irrimediabilmente in carrozzina. Non mi aspetto un miracolo che mi rimetta in piedi. Ma le giovani generazioni hanno il diritto di vivere in un mondo dove questa forma della malattia sia curata con efficacia. È questa la nostra nuova chiamata all’azione per i ricercatori, le Università, le aziende, le stesse agenzie regolatorie: c’è un milione di persone che aspettano risposte. Servono le soluzioni che ancora non ci sono. È ora di trovarle». Sono parole forti quelle di John Golding, Presidente dell’European Multiple Sclerosis Platform (EMSP).

 

È lui ad aprire il Congresso indetto dall’International Progressive Multiple Sclerosis Collaborative (IPMSC), in programma a Milano dal 6 all’8 febbraio presso il Centro Congressi San Raffaele, Via Olgettina 58. Golding non concede alibi e, proprio per questo, riesce ad avere uno sguardo ottimista sul compito che le persone con SM lanciano, attraverso le proprie associazioni, alla comunità scientifica, alle istituzioni, alle aziende: «20 anni fa non c’era nessuna cura per la sclerosi multipla. Ma nel 1993 sono state approvate negli USA le prime terapie con interferone per le persone con SM a ricadute e remissioni. Per gli amici con questa forma di malattia la ricerca ha compiuto passi da gigante e oggi ci sono numerosi trattamenti che cambiano la vita e danno qualità ai giorni. Anche noi con SM progressiva abbiamo gli stessi desideri, gli stessi diritti, la stessa fortissima voglia di vivere nel modo migliore possibile».

 

Ecco, dunque, lo snodo centrale di questa nuova azione dell’International Progressive Multiple Sclerosis Collaborative (IPMSC). Come afferma la dottoressa Paola Zaratin, Direttore della Ricerca Scientifica AISM-FISM: «l’IPMSC e il suo primo Congresso sono iniziative i cui veri protagonisti sono le persone con sclerosi multipla, attraverso le diverse associazioni che li rappresentano».

 

Dottoressa Zaratin, al di là degli slogan che chiamano a un nuovo impegno tutti gli attori in causa, cosa vogliono esattamente le persone con SM?
«Le persone con SM che AISM rappresenta chiedono prima di tutto che cadano quelle barriere che da almeno dieci anni impediscono alle ricerche per le forme progressive, che pure sono già in campo, di arrivare ai successi necessari, di trovare cure specifiche che cambino la qualità di vita».

 

Quali sarebbero le barriere che oggi iniziamo ad abbattere?
«Possiamo citare tre tipi di muri da oltrepassare. Ci sono barriere legate, per esempio, al finanziamento delle diverse fasi che servono allo sviluppo delle terapie. Da una parte sta l’industria, da un’altra parte si colloca spesso la ricerca delle Università e dei centri clinici, inclusa quella finanziata dalle associazioni di pazienti, che arriva fino a un certo punto e poi deve rivolgersi altrove per avere la forza economica di proseguire con trial clinici. Un’altra grossa barriera che le persone chiedono di superare è quella che divide i soggetti implicati portandoli a perseguire ciascuno il proprio obiettivo, il proprio interesse specifico, il proprio guadagno. Bisogna trovare un modo attraverso cui ciascuno persegua il proprio interesse entro un obiettivo comune. C’è inoltre un problema di condivisione dei dati. Questo sarà un altro aspetto determinante dell’iniziativa dell’IPMSC. A oggi non c’è un modo sistematico e continuativo per mettere insieme i dati su scala mondiale e per poterli studiare in modo identico ovunque. Un’ulteriore barriera che fa ostacolo all’efficacia della ricerca è la mancanza di consenso su come disegnare uno studio clinico di terapie specifiche per le forme progressive. Questo consenso va perseguito in sinergia anche con agenzie regolatorie, quelle che poi  saranno deputate all’approvazione delle nuove terapie».

 

Mentre progredisce la ricerca, purtroppo anche la malattia avanza. Come potranno le persone attendere i famosi 20 anni citati da Golding?
«Mentre cerchiamo risposte che valgano per tutti, una volta per tutte, non ci dimentichiamo in alcun modo di chi oggi ha una forma progressiva. Per le situazioni più gravi, e per i familiari che se ne prendono cura, intendiamo favorire la moltiplicazione di progetti che mettano a punto efficaci modelli di trattamenti mirati, per esempio progetti di cure palliative. Inoltre, puntiamo a sostenere una proliferazione di progetti di ricerca in riabilitazione. La riabilitazione può avere un forte impatto terapeutico, sino a migliorare la plasticità del sistema nervoso, ossia la sua capacità di rispondere in maniera adattativa al danno subito. Inoltre, l’IPMSC stimolerà la definizione di nuovi e più completi strumenti in grado di misurare l’efficacia dei trattamenti riabilitativi sui vari livelli di disabilità, compresa quella cognitiva. Infine l’IPMSC adotterà un approccio fortemente pragmatico nella ricerca di nuove terapie.

 

In cosa consiste la pragmaticità nella ricerca di nuove terapie?
«Per mettere a punto un nuovo farmaco partendo da zero occorrono 20 anni. Ma si può fare molto più in fretta se si parte da molecole già approvate come sicure ed efficaci per altre malattie, andandone a studiare l’azione sulle forme progressive. Moltiplicando studi di questo tipo, in tempi brevi si potrà arrivare a nuovi trattamenti sintomatici, utili per chi oggi ha una forma progressiva di SM. Ugualmente contiamo di accorciare al massimo i tempi per identificare e validare nuovi bersagli che possano portare a terapie in grado di incidere globalmente sulla neuro-degenerazione che caratterizza le forme progressive».

 

Ai temi della riabilitazione, della definizione di strumenti nuovi per misurarne l’efficacia, così come a nuovi utilizzi di terapie già esistenti e alla validazione di nuovi bersagli terapeutici sono dedicati tre gruppi di lavoro di questo «istituto virtuale» che è l’IPMSC. Un altro gruppo è dedicato alla definizione di studi che si chiamano ‘prova di concetto’. Di cosa si tratta?
«I trial clinici che mettono a punto nuovi trattamenti prevedono una fase III che testi efficacia e sicurezza delle molecole su gruppi sempre più grandi di pazienti. Ma, per arrivare in fretta a quel livello, sono necessari tantissimi studi preliminari, effettuati su piccoli gruppi con obiettivi molto mirati. Per limitarci a un solo esempio, può servire uno studio su piccoli numeri che misuri l’efficacia di una molecola solamente rispetto al rallentamento dell’atrofia cerebrale, misurata attraverso la risonanza magnetica. Questi studi si chiamano ‘prova di concetto’. Più ce ne sono, più sono integrati ‘a monte’, come tessere progettate per comporre uno stesso puzzle, e più si è in grado di realizzare rapidamente il disegno completo, ossia di curare una malattia complessa come la SM con forme progressive».

 

Man mano stiamo addentrandoci in ‘discorsi per addetti ai lavori’. Le persone con SM, oltre a essere protagoniste della copertina, della ‘chiamata ad agire’ rivolta ai diversi attori, potranno continuare a dire la propria, o dovranno lasciare il campo agli esperti e semplicemente aspettare che arrivino le risposte?
«Non è la prima volta che la comunità scientifica, l’Università e i centri clinici di ricerca, l’industria, le agenzie regolatorie vengono ‘chiamate’ a collaborare insieme per lo sviluppo di nuove terapie. È già accaduto anche rispetto ad altre malattie. Quello che serve per passare dalla ‘call to action’ a risultati efficaci è la messa a punto di una macchina organizzativa e finanziaria in grado di sostenere la richiesta di azione comune di gruppi di lavoro internazionali, sia nel campo della ricerca che nella progettazione strategica. Poiché, però, è la prima volta che questa chiamata arriva dalle persone che hanno la malattia, contiamo che questo sia una forza motrice per superare le barriere che sinora non hanno reso possibile il raggiungimento dei risultati attesi. Nel cuore di questa nuova macchina organizzativa le persone con SM saranno sempre presenti direttamente, giorno dopo giorno: sono la meta di tutti gli sforzi. Insieme dovremo anche trovare anche il modo migliore per diffondere presso tutti i medici e gli Ospedali le conoscenze innovative che andremo mettendo a punto».

 

All’orizzonte c’è anche un compito educativo e formativo? Perché?
«Senza cultura diffusa non c’è sviluppo. Per evidenziare un esempio tra gli altri, se elaboriamo nuove scale di valutazione dell’efficacia della riabilitazione sulla disabilità, sarà poi necessario che vengano conosciute ed utilizzate su tutto il territorio. La ricerca deve essere accompagnata da una sorta di ‘strategia educativa’. È un compito immane che tuttavia le Associazioni come AISM devono provare a realizzare fino in fondo. Tutti i professionisti implicati nella cura della SM hanno necessità di essere ‘formati’ ad utilizzare i risultati e gli strumenti che le nuove ricerche realizzeranno Ricerca e pratica clinica quotidiana non potranno restare campi separati, non potranno prescindere l’una dall’altra. Altrimenti si rischierebbe di creare mondi d’eccellenza che però resterebbero chiusi in se stessi, senza arrivare alla vita quotidiana delle persone. E tutto questo sarà reso efficace anche grazie un ruolo diretto da parte delle persone con SM».

 

Le Associazioni SM ci sono da più di 50 anni, almeno negli USA. AISM è stata fondata nel 1968. Perché fino ad ora non sono riuscite a ottenere terapie specifiche per forme progressive? E perché questo è il momento giusto per porre con forza questa ‘call to action’?
«Questo è il momento giusto per diversi motivi. Intanto c’è oggi la possibilità di raccogliere finanziamenti globali, che vengano da istituzioni o enti sovranazionali, non legati alle singole nazioni ma alla costruzione di una qualità di vita per le persone con SM di tutto il mondo. Questo è inoltre il momento storico adatto per cambiare gli standard per la ricerca della cura per la sclerosi multipla. I tentativi degli ultimi dieci anni hanno dimostrato che i piccoli studi di ricerca, da soli, di fronte a problemi grossi come quelli delle forme progressive non bastano più, non riescono a trovare una via d’uscita efficace. Quindi bisogna far convergere le risorse a favore di studi più grandi, nati da collaborazioni internazionali, che siano in grado di cercare le risposte sinora inevase. Inoltre oggi è chiaro a tutti che negli ultimi 20 anni la ricerca ha davvero cambiato la vita di tante persone con SM mettendo a disposizione terapie sempre più diversificate e mirate. Se è successo per le forme a ricadute e remissioni perché non dovrebbe accadere per le forme progressive?»

Giuseppe Gazzola

 

 

Leggi le altre interviste di approfondimento sulla ricerca sulle forme progressive di SM, pubblicate in concomitanza con la conferenza internazionale dell'IPMSC: Maria Pia Abbracchio, Olga Ciccarelli, Letizia Leocani, Marco Salvetti.