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26/05/2015

''La vera ricerca non è utile al ricercatore, ma alla comunità''

Il Prof. Giancarlo Comi è il primo italiano a ricevere il prestigioso Premio Charcot per la ricerca sulla sclerosi multipla. Sua la lectio magistralis del Congresso FISM 2015. L'abbiamo intervistato

Giancarlo Comi
Nella foto: il Prof. Giancarlo Comi, primo italiano a ricevere il Premio Charcot nel 2015

 

Il Congresso 2015 della Fondazione di AISM, dal titolo Insieme più forti della sclerosi multipla viene aperto il pomeriggio del 27 maggio da una Lectio Magistralis del Professor Giancarlo Comi, Professore Ordinario di Neurologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e Direttore dell’Istituto di Neurologia Sperimentale (INSPE) dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, presidente della European Charcot Foundation, Giancarlo Comi ha appena ricevuto il Premio Charcot 2015. È il primo italiano a venire insignito con questo prestigioso riconoscimento, istituito nel 1969 dalla Federazione Internazionale Sclerosi Multipla (MSIF) per premiare i migliori ricercatori sulla SM nel mondo e stimolare l’intera comunità scientifica a mettere sempre in campo il massimo impegno per vincere insieme la lotta contro questa malattia. Lo abbiamo intervistato per ripercorrere con lui i principali contenuti che hanno caratterizzato il suo percorso di scienziato, medico e ricercatore, ricostruendo i motivi che rendono oggi la ricerca italiana sulla sclerosi multipla un’eccellenza riconosciuta nel mondo.

 

Professor Comi, questa è la prima volta in cui il Premio Charcot viene assegnato a un italiano: cosa significa dal suo punto di vista, qual è il ruolo della ricerca italiana oggi?
«Credo che questo Premio riconosca anzitutto l’eccellenza di un percorso di ricerca compiuto dal Centro SM dell’Ospedale San Raffaele, che compie 30 anni. Quando il professor Canal lo fondò nel 1985 e me ne affidò il coordinamento, eravamo un gruppetto sparuto: oggi siamo quasi 100 persone a lavorare nel campo della SM a vari livelli. Credo però che il Premio riconosca più ampiamente il grande contributo che il nostro Paese ha dato nell’ambito della ricerca sulla SM: soprattutto negli ultimi 15 anni in Italia c’è stata un’esplosione di gruppi che lavorano sulla sclerosi multipla con risultati notevoli».

 

Da dove trae origine la crescita esponenziale della ricerca italiana sulla SM?
«Credo che questa esplosione, da una parte, provenga dalla grande intuizione del legislatore di rendere possibile il trattamento della SM solo in Centri specializzati: questo ha creato sicuramente una competenza diffusa. Inoltre, a mio avviso, siamo riusciti a fare in modo che i notevoli finanziamenti garantiti in questi ultimi decenni dall’industria alla ricerca non venissero dispersi in rivoli improduttivi, ma confluissero nella creazione di laboratori e di gruppi di lavoro, nel sostenere la permanenza all’estero di gruppi di ricercatori. Lo stesso Congresso annuale di FISM è la più grande evidenza dell’esistenza in Italia di una vasta scuola di ricercatori di eccellenza, che producono notevoli risultati per la conoscenza e il trattamento della SM».

 

Nella motivazione del Premio che le è stato conferito si legge che lei «ha dato un contributo eccezionale allo sviluppo delle conoscenze sulla fisiopatologia e sul trattamento della SM»: può citare alcuni esempi?
«Il primo esempio che mi viene in mente risale agli inizi degli anni ’90, quando inviai a Londra un mio giovanissimo ricercatore, Massimo Filippi, a occuparsi di risonanza magnetica. Da quell’avvio pionieristico è poi nato,qui a Milano, uno dei più importanti Centri di risonanza magnetica nel mondo per lo studio della SM. Già agli albori dell’introduzione di questa tecnica ero convinto che potesse essere non solo un elemento diagnostico, ma anche una discriminante decisiva per la comprensione della fisiopatologia della malattia, di come il danno erode progressivamente la funzionalità del sistema nervoso. In secondo luogo, ho posto sempre grande attenzione alle tecniche funzionali nell’ambito dello studio di questa malattia: da questo punto di vista sono essenziali i nuovi laboratori condotti dalla professoressa Leocani, che lavorano allo sviluppo, validazione e applicazione di metodi elettrofisiologici non invasivi per la valutazione funzionale e la neuro-modulazione del sistema nervoso. Oggi per la ricerca è fondamentale studiare, nella loro interazione, sia la funzione che la struttura del sistema nervoso».

 

Anche AISM è stata pionieristica nella scelta di sostenere l’apertura di laboratori specializzati nella ricerca effettuata tramite i più moderni strumenti di risonanza.
«Verissimo: all’inizio degli anni ’90 andai dal professor Mario Battaglia, che era allora Presidente dell’AISM, e perorai fortemente l’opportunità che nascesse in Italia un Centro per la ricerca di imaging della SM. Battaglia e l’AISM credettero totalmente in questa prospettiva e furono i finanziatori principali della nascita del Centro di Imaging del San Raffaele.Senza il concorso iniziale di AISM per acquistare una macchina dedicata alla ricerca, nulla di tutto ciò che abbiamo poi scoperto sarebbe stato possibile».

 

Quale altro aspetto del suo lavoro di ricerca le sembra sia stato particolarmente fecondo?
«Un altro aspetto premiante credo sia stato di avere individuato l’importanza assoluta di trattare questa malattia in modo precoce. La quasi totalità della comunità scientifica, ai tempi, era convinta che per iniziare a trattare la SM si dovesse sempre aspettare il momento in cui la malattia aveva prodotto danni evidenti, che giustificassero la scelta di“invadere” con iniezioni di interferone il corpo di una persona. Credo che questo Premio soprattutto riconosca lo sforzo enorme di affermare una visione che poi ha cambiato la storia di tante persone con SM. Quando si cambia strada non è mai facile riuscirci, soprattutto all’inizio, perché non si vede dove si potrà arrivare».


Non a caso, Xavier Montalban (Barcellona) ha dichiarato di recente che lei ha sempre avuto una «visione di futuro». Se incontrasse un «giovane Comi»,che visione gli consiglierebbe di coltivare per garantire nuovi salti di qualità nel trattamento della SM?

«Credo che ogni ricercatore debba avere il coraggio e la forza di cercare l’innovazione. Non vuol dire ricercare la novità a tutti i costi, ma anzitutto riuscire a non cedere in partenza alla omogeneizzazione che più facilmente spinge su percorsi già noti, più facili da seguire, con maggiore garanzia di potere pubblicare studi che vengano notati e riconosciuti. La vera ricerca non è quella utile alla carriera del ricercatore, ma alla comunità nel senso più ampio possibile».

 

Possiamo precisare le innovazioni oggi necessarie? Per esempio, come vuole il titolo stesso del Congresso FISM (“Insieme”), possiamo dire che oggi anche i team importanti devono strutturarsi per collaborare organicamente con altri gruppi a livello internazionale o con altri stakeholder come le associazioni di pazienti, le istituzioni, l’industria stessa?
«Per una ricerca che faccia la differenza credo che non debba mai mancare una sana competizione, che è il motore di ogni cambiamento scientifico, la molla che ogni ricercatore deve coltivare per contribuire al miglioramento della scienza e della vita delle persone. D’altra parte, per risolvere problemi molto complessi come quelli posti da una malattia estremamente complessa come la sclerosi multipla, occorre associare questa dimensione a un forte coordinamento dei diversi centri di ricerca e dei diversi attori coinvolti. Dunque è importante che venga sempre favorito il lavoro in team diversi da parte dei ricercatori della stessa nazione e anche la capacità di cooperare efficacemente in aggregazioni multinazionali e multistakeholder».