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22/11/2017

CCSVI e sclerosi multipla: l'intervista sullo studio Brave Dreams

I dettagli della ricerca che ha valutato l'efficacia e la sicurezza dell'intervento di angioplastica nelle vene del collo per il trattamento della sclerosi multipla. Parlano la dott.ssa Graziella Filippini e il Prof. Lugi Tesio

 

Sabato 18 novembre 2017 è stato pubblicato sulla rivista Jama Neurology lo studio Brave Dreams, che aveva lo scopo di valutare la sicurezza e l'efficacia dell'intervento di angioplastica nelle vene del collo per il trattamento della sclerosi multipla. Per approfondire i dettagli della ricerca abbiamo intervistato la dott.ssa Graziella Filippini - Presidente del Comitato Esecutivo dello studio - e il Prof Luigi Tesio - membro del Comitato esecutivo, Centro di formazione e coordinamento per le misure funzionali dello studio.

 

Quante persone sono state incluse nello studio? 
«Sono state trattate complessivamente 130 persone*».

 

Che forma di SM avevano le persone incluse nello studio?
«115 persone presentavano SM recidivante remittente e 15 persone SM progressiva secondaria».

 

Quante persone sono state trattate con l’intervento di angioplastica?
«Sono state trattate 76 persone con SM recidivante remittente e 10 persone con SM progressiva secondaria».

 

Quante persone sono state inserite nel gruppo di controllo, trattato con intervento simulato?
«39 persone con SM recidivante remittente e 5 persone con SM progressiva secondaria».

 

Quali sono stati i tempi dello studio? Quale la durata complessiva?
«Le date sono queste: periodo di reclutamento: 7 Agosto 2012 – 15 Dicembre 2014; durata del follow-up: 12 mesi,  termine 15 Dicembre 2015; durata complessiva dello studio:  40 mesi».

 

Quali sono le vostre conclusioni? Rispetto al disegno e agli endpoint fissati lo studio è positivo o negativo?
«Riteniamo che lo studio sia di qualità alta per quanto riguarda il disegno, la conduzione e l’analisi dei risultati. I risultati non hanno dimostrato un beneficio clinico sulla disabilità a 12 mesi dall’intervento nelle persone trattate con angioplastica delle vene del collo rispetto ai controlli. Non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi a confronto nell’accumulo di nuove lesioni combinate visualizzate alla risonanza magnetica cerebrale a distanza di 12 mesi dall’intervento».

 

Qual è il messaggio da dare alle persone con SM oggi, dopo la chiusura di questo studio?
«Nelle persone con sclerosi multipla recidivante remittente il trattamento con angioplastica delle vene del collo non è indicato, neanche se portatori di CCSVI».

 

È necessario approfondire altri aspetti in questo ambito di ricerca?
«Non devono essere proposti nuovi studi clinici in questo ambito di ricerca. Nello studio è stato osservato un minor numero di persone con lesioni positive al gadolinio alla risonanza magnetica cerebrale a 12 mesi tra coloro che hanno ricevuto l’intervento di angioplastica rispetto ai controlli. Questo dato, pur non statisticamente significativo, può essere considerato per nuovi studi sui modelli fisiopatologici della malattia».

 

Come si è svolto l’intervento?
«Le persone incluse nello studio con SM recidivante remittente o progressiva secondaria,   positive per CCSVI all’ecocolordoppler, secondo i criteri definiti dal protocollo, sono state sottoposte a venografia delle vene del collo mediante cateterismo percutaneo della vena femorale di sinistra. Se la venografia risultava positiva per CCSVI, le persone randomizzate all’intervento ricevevano l’angioplastica con pallone durante la venografia. Se la venografia risultava negativa per CCSVI, l’angioplastica non veniva eseguita».

 

In cosa consiste il trattamento di controllo?
«Consiste in un esame con mezzo di contrasto, ovvero la venografia delle vene del collo mediante cateterismo percutaneo della vena femorale di sinistra senza angioplastica».

 

L’intervento è risultato sicuro per la sclerosi multipla?
«Non è stato osservato alcun evento avverso serio attribuibile alla venografia o all’angioplastica. Sono stati osservati due eventi avversi minori: una reazione vagale e un episodio transitorio di dolore al collo».

 

Quali endpoint avete valutato nell’analisi (clinici , funzionali di risonanza, patient reported outcomes?
«I due esiti co-primari misurati a 12 mesi dall’intervento sono stati un esito clinico funzionale e un esito di risonanza magnetica cerebrale. Per l’esito funzionale potrà rispondere in dettaglio il  Prof. Tesio (vedi sotto). La risonanza magnetica è stata eseguita all’inclusione nello studio (basale), a 6 e a 12 mesi. L’esito primario di risonanza magnetica è stato il numero di nuove lesioni cerebrali “combinate” a 12 mesi confrontato con il numero delle lesioni al tempo basale. Le nuove lesioni combinate includono: (i) nuove lesioni evidenziate con le immagini di risonanza in T2; (ii) lesioni preesistenti ingrandite più del 30% sulle immagini di risonanza in T2; (iii) lesioni positive al gadolinio sulle immagini in T1 di lesioni preesistenti. Un ulteriore esito di risonanza è stata la proporzione di persone senza lesioni cerebrali nuove a 12 mesi».

 

Come si è svolta la lettura dei risultati?
«In “cieco” per tutte le misure di esito incluse nello studio. L’esecuzione e la lettura delle misure sia cliniche che di risonanza magnetica sono state eseguite da personale che non conosceva a quale dei due gruppi (intervento vero o simulato) fosse stata assegnata la persona  in esame».

 

Come e da chi sono state effettuate le analisi statistiche dei risultati di questa ricerca condotta in cieco?
«Sono state affidate al Centro di Biostatistica in Epidemiologia Clinica della Università di Milano Bicocca».

 

Risponde il Prof Luigi Tesio

Perché introdurre una nuova serie di ben 10 indicatori di disabilità invece che limitarsi alla ormai consolidata scala EDSS?
«La scala EDSS, pubblicata inizialmente nel 1983, notoriamente ha molti limiti. Anche se la D dell’acronimo sta per “disabilità”, questa viene misurata soltanto attraverso una gradazione della capacità di cammino. Non si riesce a misurarla validamente  in persone che siano pienamente deambulanti o che, all’opposto, siano stabilmente confinate in carrozzina. Eppure in tutti i casi di sclerosi multipla, quale che sia la loro gravità complessiva, possiamo trovare molti altri segni e sintomi: per esempio faticabilità, deficit cognitivi, deficit sfinterici, perdita di equilibrio. Nessuno di questi problemi trova  una rappresentazione adeguata nella scala EDSS».

 

In che cosa la serie di indicatori proposti è innovativa?
«In primo luogo è innovativo il fatto stesso che il grado di disabilità fosse un risultato (“endpoint”) primario, di rango pari a quello della Risonanza Magnetica Nucleare. Nell’ambito degli indicatori di disabilità la serie proposta è innovativa perché considera, oltre che la EDSS, ben 10 diverse forme di disabilità (più correttamente dovremmo definirle menomazioni): deficit di equilibrio, coordinazione del cammino, capacità di svuotamento vescicale, acuità visiva, abilità manuale, e poi stato ansioso-depressivo, disturbo indotto dalla incontinenza vescicale, faticabilità, deterioramento cognitivo generale, e perdita di capacità di memoria-calcolo. Le prime 5 variabili sono state misurate con strumentazione, le altre 5 con questionari rigorosamente validati. Altro particolare innovativo: come un vero decatleta ciascuno dei rilevatori doveva eseguire tutte e 10 le diverse misurazioni. Per questo è stata posta un’attenzione particolare alla formazione dei rilevatori, alla standardizzazione dei  processi di misura e al controllo in itinere della qualità delle rilevazioni stesse. Una precisazione: nello studio appena pubblicato sono state considerate soltanto le prime cinque misure, basate su rilievi strumentali. Le altre 5 misure potranno essere oggetto di una pubblicazione successiva».

 

Non si rischia di creare un quadro molto frammentato della disabilità del paziente?
«Non direi frammentato, direi piuttosto personalizzato. La Sclerosi Multipla appare come una condizione relativamente omogenea dal punto di vista dei meccanismi alla base della patologia: in questo caso la malattia viene vista come un processo di demielinizzazione del sistema nervoso centrale. Tuttavia il decorso temporale e la localizzazione delle lesioni sono alquanto imprevedibili e variabili fra diversi pazienti e, nel tempo, all’interno dello stesso paziente. Se una stessa malattia ha diverse localizzazioni in un polmone o nel fegato il quadro clinico potrà comunque assomigliarsi in pazienti diversi. Al contrario, localizzazioni diverse nel sistema nervoso centrale implicheranno conseguenze mentali e neuromotorie molto diverse. In altre parole, diversi pazienti possono tutti “avere la Sclerosi Multipla” ma la disabilità, ovvero il profilo comportamentale e psicologico causato dalla malattia, sarà molto diversa in ciascuno di loro». 

 

Ma la disabilità non si può già dedurre dall’entità e dalla localizzazione delle lesioni nervose?
«Purtroppo non in modo affidabile. La ricerca sulle cause della malattia e sui possibili rimedi farmacologici ha dovuto privilegiare lo studio di marcatori biologici (per esempio risonanza magnetica cerebrale e midollare ed esame del liquido cerebrospinale). Tuttavia questi marcatori sono correlabili solo parzialmente alla disabilità, ovvero alla variegata e variabile condizione funzionale del paziente. Una stessa lesione può generare problemi di tipologia e gravità diverse in diversi pazienti, a seconda della presenza di altre lesioni in altre sedi e a seconda della capacità individuale di adattamento del sistema nervoso centrale rimasto integro. Dunque occorre descrivere e misurare direttamente le alterazioni funzionali, sia neuromotorie sia cognitive e psicologiche».

 

Se i quadri individuali sono diversi e ad ogni paziente, oltre che la EDSS, vengono assegnate 10 misure, come si può decidere su questa base se nel complesso un trattamento è più efficace di un altro?
«Questo è un altro punto innovativo dello studio. Sono state definite rigorosamente le “soglie” di variazione significativa (ovvero, non dovuta al caso) in ciascuna delle cinque misure considerate. Poi si è applicato un semplice algoritmo che, sulla base del numero di variabili che a distanza di 12 mesi si modificavano in meglio o in peggio, consentiva di classificare il paziente come globalmente migliorato, stabile, peggiorato o “fluttuante” (“mixed” nello studio pubblicato): ovvero migliorato in alcune misure, peggiorato in altre). L’indicatore di efficacia era dato dal confronto fra la proporzione di pazienti migliorati nel gruppo trattato con angioplastica venosa e proporzione nel gruppo trattato con intervento simulato (“sham”: ovvero cateterismo venoso senza dilatazione, o “angioplastica”,  delle vene). Si noti che non si è guardato alla variazione media delle misure (che può risentire di grandi miglioramenti ma in pochi soggetti soltanto), bensì al numero di pazienti migliorati, quale che fosse l’entità del miglioramento individuale. Questa prospettiva è molto vicina a quella del paziente. “Quanto vale” per lui o per lei migliorare in una certa funzione non viene ben rappresentato dalla quantità numerica di variazione, nel mentre si può stare sicuri che “migliorare” riveste di per sé un grande significato in una condizione clinica che tende a peggiorare».

 

E quali sono stati i risultati?
«La proporzione di pazienti migliorati dopo 12 mesi dall’intervento non differiva fra i due gruppi. Nemmeno differiva la proporzione di pazienti migliorati in ciascuna delle cinque variabili oggetto di misura. Lo stesso valeva per la tradizionale misura su scala EDSS».

 

Quali indicazioni emergono per le persone con SM?
«Purtroppo l’angioplastica delle vene del collo non sembra apportare miglioramenti funzionali superiori a quelli di un intervento simulato di controllo. Questo vale, ovviamente, per le cinque variabili considerate (equilibrio, coordinazione del cammino, svuotamento vescicale, abilità manuale, acuità visiva) e vale per quanto si possano generalizzare le conclusioni di questo (come di ogni altro) studio. Ciò premesso, va ricordato che l’angioplastica aveva suscitato enormi aspettative, alimentate anche dalla frettolosa imprudenza di molti media. Quello che si può affermare fin d’ora è che queste aspettative erano ingiustificate e che per contrastare la disabilità nella sclerosi multipla converrà seguire altre strade».

 

Un risultato insoddisfacente, dunque?
«Direi proprio di no, per due motivi. Il primo: le conclusioni emergono dal più ampio studio controllato fin qui eseguito internazionalmente, basato sul confronto diretto fra angioplastica e intervento simulato di controllo. I pazienti presentavano sicuramente alterazioni venose riconducibili alla sindrome da ridotto drenaggio venoso “CCSVI” definita dal prof. Zamboni. Queste non soltanto erano evidenziate ecograficamente come prevede la diagnosi di CCSVI, ma venivano  anche confermate con mezzo di contrasto (venografia). Importanti studi precedenti avevano dimostrato una incidenza di CCSVI drammaticamente variabile fra diversi Centri ospedalieri, mediamente molto bassa, e nemmeno specifica per pazienti con Sclerosi Multipla rispetto a soggetti asintomatici o con altre patologie nervose. Lo studio BRAVEDREAMS, invece, voleva indagare l’effetto dell’angioplastica in quei pazienti che comunque presentavano CCSVI confermata con venografia. Alla fine si è osservata una convergenza fra le due linee di ricerca, a sfavore del percorso ecografia-riscontro di CCSVI-angioplastica. Tuttavia per i pazienti era importante sapere se, una volta che avessero ricevuto una diagnosi di CCSVI, valesse la pena di tentare un’angioplastica. La risposta del studio BRAVEDREAMS è stata: non vale la pena. Il secondo motivo di soddisfazione: il metodo di misura della disabilità e del suo cambiamento in risposta a un intervento terapeutico si è dimostrato fattibile, efficace e sensibile, e questo vale indipendentemente dai risultati prodotti dall’angioplastica. Questo metodo ha creato una varco nel quasi-monopolio delle misure di efficacia negli studi clinici sulla sclerosi multipla, costituito da Risonanza Magnetica e scala EDSS. Attraverso il varco si è ora inserita una batteria di test funzionali che rappresentano molto più validamente che cosa voglia dire “essere” una persona disabile e non soltanto un paziente che “ha”  la sclerosi multipla.

 

JAMA Neurol. 2017 Nov 18. doi: 10.1001/jamaneurol.2017.3825. [Epub ahead of print]
Efficacy and Safety of Extracranial Vein Angioplasty in Multiple Sclerosis: A Randomized Clinical Trial.
Zamboni P1, Tesio L2,3, Galimberti S4, Massacesi L5, Salvi F6, D'Alessandro R6, Cenni P7, Galeotti R8, Papini D9, D'Amico R10, Simi S11, Valsecchi MG4, Filippini G12; Brave Dreams Research Group.

 

*Nota del redattore: l'articolo pubblicato su Jama Neurology riporta principalmente i risultati ottenuti dalle 115 persone con sclerosi multipla recidivante remittente. I dati sulle 15 persone con SM secondariamente progressiva coinvolte sono illustrati in forma descrittiva nel Supplemento 2.