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22/10/2019

ECTRIMS: forme progressive di sclerosi multipla nel mirino

Si è svolto recentemente a Stoccolma il congresso scientifico ECTRIMS, il più grande e importante meeting europeo di ricercatori provenienti da tutto il mondo e impegnati nella sclerosi multpla. Come ogni anno, nelle fasi finali dell'evento, la sessione highlights raccoglie gli studi valutati più promettenti presentati al consesso. Si tratta di dati su studi in corso, che devono ancora essere confermati nelle pubblicazioni. Qui presentiamo le ricerche focalizzate sulla sicurezza.

 

Negli ultimi anni, anche grazie all'impegno delle associazioni dei pazienti, prima fra tutte AISM con la sua Fondazione, la ricerca scientifica sulle forme progressive di sclerosi multipla sta prendendo slancio, e i primi risultati si fanno vedere: il lavoro portato avanti dalla Progressive MS Alliance ha consentito di mettere insieme tutte le parti interessate per cercare di trovare soluzioni alle forme di malattia che oggi non possono contare su strumenti efficaci. Lo dimostrano gli studi sul tema delle forme progressive discussi e presentati al congresso ECTRIMS, che si è svolto a Stoccolma a settembre.

 

Dal punto di vista farmacologico sono stati presentati i risultati dello studio ORATORIO: le persone con sclerosi multipla trattate con ocrelizumab in modo continuativo per un tempo pari o superiore a sei anni hanno fatto registrare un rischio ridotto di progressione della disabilità nella SM primariamente progressiva (SMPP).

 

Ocrelizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che colpisce ed elimina le cellule B che esprimono la molecola CD20. Ha dimostrato efficacia non solo nelle forme recidivanti remittenti di SM ma anche per la prima volta nelle forme primariamente progressive con SM attiva. Questi risultati suggeriscono che il trattamento precoce con questa molecola riduce significativamente il rischio di progressione della disabilità e che questo effetto è mantenuto nel tempo. La progressione della disabilità degli arti superiori, misurata con il test dei nove pioli, si è ridotta significativamente nelle persone trattate in modo continuativo con ocrelizumab rispetto a quelli passati dal placebo. I dati hanno anche dimostrato che la terapia precoce con ocrelizumab ha determinato una riduzione del 42% del rischio di dover ricorrere alla sedia a rotelle nelle persone con SMPP (scala di invalidità espansa EDSS≥7) in 6,5 anni rispetto alle persone che hanno iniziato il trattamento con ocrelizumab dopo il periodo in doppio cieco.

 

Sul fronte della forma secondariamente progressiva, quella cioè che si sviluppa a partire dalla forma recidivante-remittente, l'attenzione è stata focalizzata sulla possibilità di prevedere la transizione tra una forma e l'altra. Sebbene, infatti i diversi fattori possano predire la transizione dalla malattia recidivante-remittente a quella secondariamente progressiva, riuscire a intercettare il più precocemente possibile per ogni singola persona la progressione sarebbe molto importante per poter intervenire con maggiore efficacia. Uno studio retrospettivo condotto da Massimiliano Calabrese, neurologo all'Università di Verona, ha individuato 7 variabili affidabili e, sulla base di queste, ha messo a punto una scala capace di predire il passaggio alla forma progressiva. Secondo gli autori si tratta di uno strumento facile da usare nella pratica clinica e consentirebbe di identificare le persone che potrebbero beneficiare di un trattamento più aggressivo. 

 

Allo stesso obiettivo hanno lavorato altri ricercatori italiani - come illustra il dott. Pietro Iaffaldano dell'Università di Bari nel video - che hanno analizzato i dati contenuti nel Registro Italiano SM puntando l'attenzione sui fattori che favoriscono il passaggio dalla forma recidivante-remittente a quella progressiva. I dati real-life dicono che un intervento precoce e continuo con farmaci modificanti la malattia riduce il rischio di conversione nella forma progressiva mentre non riduce il tempo in cui si raggiunge una disabilità valutata 6 con la scala EDSS. Fattori sfavorevoli sono invece un esordio multifocale (con lesioni in diverse parti del sistema nervoso centrale), a un'età superiore ai 40 anni, con disabilità elevata, e un numero alto di ricadute durante la fase RR.

 

 

Dal momento che alcuni studi hanno dimostrato che il peggioramento nella disabilità avviene in proporzione importante anche in maniera non correlata al numero di ricadute, un gruppo di ricerca ha analizzato infine i dati dello Swiss Multiple Sclerosis Cohort Study per capire come si caratterizzasse la progressione di disabilità indipendente dall'attività di malattia (PIRA – progression indipendent of relapse activity). Il risultato presentato a Stoccolma conferma che un numero rilevante di persone con sclerosi multipla recidivante-remittente ha avuto esperienza di PIRA nel corso dei 5 anni di valutazione. Lo studio dimostra poi che le terapie modificanti la malattia sono molto efficaci nel ridurre il rischio di eventi che peggiorano la disabilità, ma non si può dimostrare un effetto consistente sui PIRA.

 

Alcuni studi stanno valutando nuovi farmaci per le forme progressive che possano funzionare riparando la mielina. Lo studio presentato dal dottor Ari Greeen, dell’Università di San Francisco in America attraverso una sofisticata tecnologia, ha selezionato candidati pro mielina. Tra i primi candidati selezionati c’è la clemastina, un antistaminico solitamente utilizzato per contrastare reazioni allergiche, che su cellule umane induce la proliferazione dei precursori degli oligodendrociti da cui derivano gli oligodendrociti maturi. Gli oligodendrociti sono cellule della neuroglia che svolgono la funzione essenziale di ricostruire la mielina dei neuroni del sistema nervoso centrale. In modelli sperimentali di SM la clemastina ha dimostrato di indurre la rimielinizzazione e dopo trattamento con clemastina è stato osservato che muoiono meno neuroni. Un altro candidato identificato è il bazedoxifene che ha azione rimielinizzante. Attualmente sono stati conclusi gli studi preclinici, il lavoro è ancora in corso. Il dottor Green suggerisce che per queste nuove molecole sarà importante progettare al meglio gli studi clinici e definire bene tutte le strategie e le misure per valutare la loro efficacia nell’uomo.