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03/04/2014

Annalisa Minetti: «Il buio mi ha insegnato a diventare luce»

SM Italia 2/2014 - Annalisa Minetti

Essere diversi è un’opportunità. Ne è convinta Annalisa Minetti. E i traguardi che ha raggiunto nella sua vita, lo dimostrano. Dopo Miss Italia, Sanremo, le Paralimpiadi e la maternità, ora vorrebbe condurre un programma in tv

 

C’è sempre una nuova sfida, per Annalisa Minetti. A 12 anni ha iniziato a perdere la vista e nel ‘96 le è stata diagnosticata la retinite pigmentosa con degenerazione maculare che l’ha resa cieca. E lei è andata a Miss Italia, arrivando settima. Visto che essere bella non le bastava, ha cantato al Festival di Sanremo, nel ’98. E l’ha vinto. Poi si è sposata, è diventata mamma e… si è data alla corsa. Risultato: terza nei 1500 metri alle Paralimpiadi di Londra 2012, prima negli 800 ai Mondiali 2013. L’essenziale, per lei, è il desiderio di andare ogni giorno oltre l’ultimo traguardo raggiunto. Se le chiedi di scegliere, tra le sue canzoni, la frase che più la rappresenta, non ha esitazioni: “Ho bisogno di credere con tutte le mie forze, perché niente è impossibile se lo vuoi veramente”. Proprio sull’ordito delle sue canzoni Annalisa ci racconta la trama della sua vita. Le sue idee, la sua normalità quotidiana, il suo voler essere speciale.

“Guardami, sono una nuvola e ti porto in volo”, hai cantato prima di andare a vincere la medaglia alle Paralimpiadi di Londra. Ci vuole una musica per aver voglia di correre davanti al mondo?
«Quella canzone, nata appena prima di Londra, racconta le sensazioni di una corsa, le energie che sembrano non bastare mai, col cuore che rimane a scandire il tempo dei metri che passano e l’indomita volontà di non rimanere a terra ma di sollevarmi in volo, nei momenti di maggiore fatica. Le emozioni che ho provato alle Paralimpiadi sono durate esattamente 4 minuti come questa canzone».

È passato più di un anno da quando mostravi orgogliosa la medaglia di Londra nei tuoi concerti. Cosa desideri più di tutto che si guardi di te, oggi?
«Vorrei che si vedesse il mio amore e la mia forza nei confronti della vita che, nonostante tutto, non mi delude mai. Vorrei che fosse evidente la mia voglia di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e di non destinare la vita alla parte vuota del bicchiere».

Perché ci sono persone con disabilità che aggiungono la fatica di fare sport? Cosa cerchi tu nelle corse?
«Nello sport semplicemente cerco di essere riabilitata alla vita, di avere quella chance, quell’alternativa che spesso la società toglie, magari con discriminazioni gratuite. A tutti, compresi noi che abbiamo una disabilità, lo sport restituisce la dignità. Riconsegna la vita in mano. Per me è una sensazione di totale libertà, irrinunciabile».

Vale anche per chi non vince?
«La vittoria, in realtà, non è la medaglia che alzi al cielo ma il sentirti vincente sulla linea di partenza. Conta aver tentato l’impresa e dimostrato che tutto è realmente possibile».

Tra le possibilità che non ti sei negata c’è la maternità: “Sei luce dentro di me che mi illuminerai”, hai cantato per tuo figlio.
«Massimiliano ha compiuto da poco 6 anni. Come ogni figlio, è un dono infinito, luce che attraversa ogni giornata. Nei momenti più bui, puoi sempre guardare i tuoi figli. E loro, con lo sguardo dolcissimo che si ritrovano e il modo unico che hanno per dirti ‘ti voglio bene’, ti danno quell’energia che in altri modi fatichi a trovare».

L'intervista completa di Giuseppe Gazzola è stata pubblicata su SM Italia 2/2014. Scarica la rivista nel link che trovi qui sotto.

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