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03/08/2014

L'inchiesta di SM Italia 4/2014: una sanità a macchia di leopardo

SM Italia 4/2014

L'inchiesta di questo numero rivela le differenze del welfare in diverse zone d'Italia. Assistenza e servizi variano anche a pochi chilometri. E la malattia per molti è ancora un 'tabù' sociale

 

Michele ha 12 anni e la distrofia di Duchenne. Cammina, ma a fatica. Dovrebbe fare fisioterapia, in acqua. Per prevenire l’aggravarsi dei problemi respiratori, intestinali, posturali legati alla malattia. Ma l’idrokinesiterapia non è tra le terapie ‘passate’ dall’Asl e dovrebbe pagarla. La sua famiglia però non può permetterselo. Come dire che chi ha i soldi si cura, chi non ce li ha, no. O chi abita al Nord si può curare, mentre chi sta al Sud, no.

Michele abita a Napoli. Ma è davvero così netta la distinzione? I servizi socio-assistenziali per i disabili cambiano non appena si scende al di sotto di Roma? E il gap culturale resiste al Sud? «In Sicilia la sclerosi multipla è un tabù sociale», dice Angelo La Via, da 28 anni volontario AISM e presidente regionale dell’Associazione. Certo non è così dappertutto, ma in alcune zone sì. «Lo stato di generale convivenza con la SM nella mia regione è più o meno uguale a quello del resto d’Italia, ciò che fa la differenza è la paura di dover convivere con una malattia cronica in una realtà territoriale in cui sia le istituzioni che la società possono creare difficoltà. Ecco perché una diagnosi di sclerosi multipla è vissuta, in molte zone, come un dramma», afferma La Via.

In Italia non esiste un sistema di welfare uniforme ma ce ne sono tanti quanto sono le regioni. Lo dice Daniela Bucci, direttore di Condicio.it, il sito della FISH che raccoglie dati sulla condizione di vita delle persone disabili, che aggiunge: «Oltre alle differenze regionali, esistono anche differenze intraregionali, anche in quelle del Nord». La conferma arriva anche da Vincenzo Soverino, 57 anni e una diagnosi di SLA, che oltre, a essere referente della sezione astigiana di AISLA, da un paio di anni è anche vicepresidente nazionale dell’Associazione. «Parlare di contrapposizione tra Nord e Sud è un po’ vago, si dovrebbe parlare piuttosto di differenze territoriali, anche all’interno di una stessa regione», spiega. Il problema nasce dalla federalizzazione della sanità. È da quel momento che si può parlare di ‘assistenza a macchia di leopardo’, dice. Sia al Nord che al Sud. E lui ne sa qualcosa visto che, per l’Associazione, gira l’Italia raccogliendo la voce di malati e famiglie e riportarla sui tavoli istituzionali con Enti locali e Aziende sanitarie. «Ci sono centri di eccellenza al Nord, ma anche distretti in difficoltà – afferma – : in una stessa città, si può trovare una ASL in grado di fornire un ausilio e un’altra che non ha le risorse sufficienti per farlo. Con il risultato che il nostro malato di SLA per ottenere il sintetizzatore vocale di cui ha bisogno dovrebbe trasferirsi da una zona all’altra della città». Come si può contrastare questo fenomeno? Con servizi pubblici adeguati, in grado di soddisfare i bisogni delle famiglie e alleggerire il peso economico della disabilità.

 

Regioni, il Sud sotto la media nazionale
Secondo le ultime rilevazioni i disabili in Italia sono circa 3 milioni con grande disomogeneità a livello territoriale. La disabilità è infatti più diffusa nelle isole e al Sud mentre registra un’incidenza inferiore al Nord. Tra le regioni, quelle che hanno una percentuale maggiore sono Sicilia, Umbria, Molise e Basilicata, mentre quelle più basse si hanno in Trentino Alto Adige e Lombardia. Ma è indifferente per un disabile nascere al Sud? «Se andiamo a vedere quanto spendono Comuni e Regioni per il sociale, la risposta dovrebbe essere ‘no, non è indifferente’ », dice Bucci. Secondo l’Istat, infatti, è il Trentino Alto Adige, con 282,50 euro all’anno per abitante, a investire di più nel sociale: la cifra è pari a 11 volte quello che si spende in Calabria dove ci si ferma a 25,6 euro (dati 2011). Al di là dei due estremi però ciò che emerge dalle statistiche è che tutte le regioni del Sud (tranne la Sardegna) sono sotto la media nazionale. Di queste risorse, (che nel 2011 ammontavano a poco più di 7 miliardi di euro, per la prima volta in calo dal 2003), ai servizi per disabili va in media poco più del 22% (pari a oltre 1,6 miliardi di euro, in crescita rispetto al 2010). Percentuale che scende mano a mano che si va verso Sud. Ciò significa che la spesa media in Italia in servizi e interventi per una persona disabile ammonta a poco più di 2.800 euro all’anno, ma si passa dai 777 euro del Sud ai 5.370 del Nord Est. A livello nazionale i Comuni spendono meno per l’assistenza domiciliare che per quella residenziale, ma «osservando i dati disaggregati a livello geografico, emergono modelli significativamente diversi», afferma Bucci. Al Nord si spende di più per la residenzialità che per la domiciliarità, mentre Centro e Sud sono all’opposto. Infine, ci sono differenze sulla presa in carico. «In media, in Italia, 7 disabili su 100 usufruiscono di assistenza con variazioni che riflettono le politiche regionali piuttosto che il tradizionale divario Nord/Sud», continua Bucci. La Sardegna, ad esempio, ha un indicatore di presa in carico decisamente superiore alla media nazionale, 40 disabili su 100 beneficiano del servizio domiciliare. Per quanto riguarda le strutture residenziali, gli utenti variano dallo 0,3% del Sud al 9,6% del Nord Est. Confrontando i dati dell’assistenza sanitaria domiciliare e degli aiuti per la vita quotidiana emerge però che il 17% dei disabili in Italia non beneficia di nessun sostegno, stiamo parlando di circa mezzo milione di persone. Un sistema sociale così variegato ha una conseguenza: sono sempre di più le famiglie a sopperire alle mancanze del welfare. In 8 casi su 10 sono i familiari, infatti, a prendersi cura della persona disabile. Con costi sociali significativi. A parte quelli diretti, ovvero il costo di cure e servizi, ce ne sono anche di indiretti, dati ad esempio dall’abbandono del lavoro da parte del caregiver. E le famiglie del Sud sono due volte più a rischio di finire in povertà rispetto a quelle del Nord.

 

SLA, le difficoltà delle famiglie
I malati di SLA in Italia sono circa 6 mila. La regione che ne conta di più è la Lombardia (967), seguita da Campania (576), Lazio (556) e Sicilia (499). Quella dove ne vivono meno è la Valle d’Aosta, 13 persone. «Numeri irrisori, è vero, ma per una malattia devastante che, nelle forme più gravi, richiede assistenza 24 ore al giorno – precisa Soverino – Abbiamo bisogno di tutto, ci servono ausili e, quasi tutti, vogliamo rimanere a casa». È qui che possono sorgere difficoltà, perché non sempre l’adattamento domestico coincide con le dimissioni protette del paziente. Oltre a trasformare una stanza di casa per farla diventare come quella dell’ospedale, un malato di SLA può aver bisogno di un sintetizzatore vocale per comunicare, di un letto antidecubito e di una carrozzina da casa o per spostarsi. «La prima cosa che chiedono le famiglie, quindi, è un aiuto di tipo economico per gli ausili o per assumere una badante che le affianchi nell’assistenza – continua il vicepresidente di AISLA – Per questo ci sono le risorse vincolate del Fondo per la non autosufficienza, ricostituito nel 2013, ma anche qui possono esserci ritardi nell’erogazione dei fondi, a prescindere da Nord o Sud». Uno dei problemi sotto questo punto di vista è che i ‘Livelli essenziali di assistenza’ (Lea) e i nomenclatori tariffari sono fermi a 18 anni fa. «Capita quindi che se chiedo un ausilio più moderno di quelli previsti non mi venga concesso perché nel nomenclatore non c’è», afferma Soverino. Spesso però la paura è quella di non vedersi riconosciuta l’invalidità per poter ottenere agevolazioni e supporto dei servizi pubblici. «Il problema riguarda tutta l’Italia, ma in Sicilia capita ancora che le commissioni per il riconoscimento della disabilità non sappiano riconoscere i sintomi della sclerosi multipla, malattia che riguarda circa 6 mila persone nella nostra regione», afferma Angelo La Via. Con il conseguente disagio per la persona e per la famiglia.

 

SM, c’è la Carta dei Diritti
Disabili e qualità della vita: dov’è più alta? Secondo Daniela Bucci non è possibile rispondere a questa domanda, «perché non abbiamo indicatori e ricerche compiute che ce lo possano dire, ammesso che sia possibile farlo». Esiste dunque un debito informativo rispetto alle condizioni di vita delle persone disabili e non sappiamo molto neanche riguardo la qualità dei servizi offerti, a volte nemmeno rispetto alla quantità e alla tipologia. «Dove AISM è presente, le persone vivono meglio perché sono più informate, mentre dove non c’è è più probabile che la malattia sia vissuta come un tabù, in isolamento – afferma La Via – : mi è capitato di incontrare persone che non dicono di avere la SM per paura di perdere il lavoro e non riuscire più a mantenere la famiglia »: non se ne parla nemmeno all’interno della famiglia e la malattia non è capita all’esterno, nella comunità in cui si vive. «Quando una persona con la SLA decide di fare la tracheotomia è perché ha scelto di vivere, nonostante tutto, ma deve esserci dignità », dice Soverino. Ecco perché AISLA chiede che si facciano Linee guida a livello nazionale da fa recepire ai territori e che ci sia sempre un confronto con le associazioni. «Noi abbiamo il polso della situazione, conosciamo il territorio, i malati, le famiglie e possiamo aiutare le istituzioni a risparmiare tempo e risorse». Informazione e comunicazione sono i due assi su cui lavorare. E sotto questo profilo, AISM Sicilia ha fatto molto, contribuendo alla firma della ‘Carta dei Diritti delle persone con sclerosi multipla’ da parte dell’assessorato regionale alla Sanità e alla realizzazione del ‘Percorso diagnostico terapeutico assistenziale integrato’ per mettere in rete i centri per la diagnosi e la cura della SM. Un percorso che potrebbe contribuire, ad esempio, a migliorare i servizi di riabilitazione. «In Sicilia ce ne sono alcuni ben organizzati che offrono servizi di qualità e altri che fanno acqua da tutte le parti e che solo il percorso intrapreso con la Regione potrà omogeneizzare – conclude La Via – Abbiamo lanciato una sfida per cambiare il volto della sclerosi multipla nella nostra regione: vogliamo essere capillari sul territorio per raggiungere tutte le persone con SM e fare in modo che non ci siano centri di serie A e di serie B. Ma tutti gli attori coinvolti, medici compresi, devono fare la loro parte».

Laura Pasotti

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