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23/09/2014

«La prima volta sono scappata, ora so che AISM è l’unico posto dove voglio impegnarmi»

Romilda fa l'infermiera, quando ha ricevuto la diagnosi ha cominciato tutto daccapo. Ha avuto paura di aprirsi ma da un anno è volontaria. «Ho scoperto che si può parlare di SM senza stare male». In questa intervista ci racconta la sua esperienza

Romilda Appeso
Nella foto: Romilda Appeso

Romilda Appeso, 25 anni, è volontaria AISM da un anno. Lavora come infermiera a Taranto, dove vive. Dunque, anche per lavoro è sempre pronta a prendersi cura di qualcuno. E da qualche tempo racconta di sé sul blog GiovanioltrelaSM.it: «Mamma, papà , ho la SM primaria progressiva. Ho aspettato tanto a raccontarvi cosa stava accadendo. Dovevo proteggervi. La rabbia, la paura, il dolore non dovevano trapelare. Ma con l’arrivo della diagnosi era andata via quella voglia di vita, quel desiderio di credere ancora in un futuro». Era il 2011. Quale molla è poi scattata per convincere Romilda a ‘uscire’ dalla sua paura arrabbiata, a incontrare AISM e altri giovani con SM, a diventare volontaria e attivista in associazione? Ecco cosa ci ha raccontato.

 

Come hai scelto di diventare volontaria in AISM?
«Quando ho saputo che avevo la SM ho ricominciato tutto da capo, a 360 gradi. Quasi per caso, vidi una locandina che proponeva un Convegno provinciale per i giovani con sclerosi multipla. Decisi di andare a sentire. Ma restai un quarto d’ora e poi scappai. Mi ero ritrovata sbattuta in faccia la realtà della sclerosi multipla e mi aveva fatto ancora più paura di quanta non ne avessi già per conto mio. Ma AISM è tornata ‘alla carica’: una ragazza della mia città mi ha cercato più volte, mi ha parlato della sua esperienza. Mi ha colpito come metteva energia proprio nel volontariato, nel voler aiutare gli altri e soprattutto quanto voleva aiutare proprio me. È stata lei, che ora è diventata un’amica speciale, a parlarmi, ascoltarmi e chiedermi di partecipare ad altre attività in Associazione. Mi è piaciuto il suo stile, il suo modo di vivere. E ho pensato: "perché non potrei anche io fare lo stesso?". Quando mi sono fatta coinvolgere, ho capito che non c’è altro posto in cui vorrei stare se non in AISM».

 

E cosa hai scoperto da volontaria per capire di non voler stare in nessun altro posto?
«Ho scoperto che si può parlare di SM senza stare male. Ho incontrato giovani che hanno la SM, sanno guardarla in faccia e riescono comunque ad andare avanti con i propri progetti, a stare bene, a vivere la propria vita fino in fondo».

 

Si dice sempre che il volontariato rende migliore anche chi lo fa. Quale, tra le esperienze che hai vissuto da volontaria, ti tieni in un posto speciale del cuore?
«Quando l’anno scorso organizzai insieme ad altri il mio primo “Convegno nazionale per i giovani con SM”: lì mi sono resa conto di quanto l’informazione può fare per aiutare, di quanto è importante, allora, informare il più possibile tutti e farlo nel modo giusto. E poi ora, collaborando con il blog, anche se virtualmente, mi sto avvicinando molto a tanti ragazzi come me e scopro che insieme riusciamo ad andare tutti un po’ più sicuri, veloci e soprattutto lontano». 

 

Pensando ad altri tuoi amici che non fanno volontariato, quale oggetto regaleresti perché anche loro ne scoprano il gusto?
«Forse, provocatoriamente, regalerei un paio di occhialini. Per dire che vale la pena usare meglio i propri occhi, vedere bene quello che succede intorno a noi e scegliere di fare qualcosa, scoprendo finalmente che quando aiuti chi ti sta a fianco diventi migliore anche tu». 

 

C’è un verbo o un aggettivo che sintetizza l’esperienza che vivi in associazione?
«Penso al verbo lottare e soprattutto al verbo vivere. E, se vuoi un aggettivo, penso che sia ‘meravigliosa’». 

 

Continuiamo il ‘gioco serio’ delle parole: guardando al mondo dei giovani italiani, c’è una parola che pensi dovrebbero smettere di utilizzare? E, al suo posto, quale parola vorresti che diventasse ‘pane quotidiano’ del nostro vocabolario?
«Percepisco spesso una seria disillusione dei giovani rispetto alla vita, a quello che possono aspettarsi nel futuro immediato per se stessi e per il paese in cui viviamo. Allora vorrei che entrasse di più nei nostri dialoghi la parola ‘speranza’. Speranza che il domani sia all’altezza dei nostri desideri. E che la qualità della vita migliori per tutti a prescindere». 

 

Uno degli scopi del volontariato in AISM è contribuire ad affermare i diritti delle persone con SM. Quale ‘diritto’ deve a tuo avviso affermare in prima persona chi ha la SM insieme a tutto il mondo dei volontari AISM?
«I diritti sono tutti essenziali. Penso soprattutto al diritto a una migliore qualità di vita, che vuol dire concretamente il diritto ad avere un lavoro, a poter essere indipendenti nonostante la malattia. Per questo siamo pronti a lottare. E poi è importante il diritto ad essere informati su tutto ciò che ci riguarda».

 

Nell’ultima Giornata della SM si poteva condividere con il mondo il proprio ‘One day wish’, il proprio desiderio per il futuro da costruire insieme. Quale sarebbe il tuo?
«Vorrei poter dire un giorno ai miei amici che tanti anni fa c’era una malattia che si chiamava sclerosi multipla e che, lavorando uniti, siamo riusciti a fare in modo che diventasse solo un ricordo».

 

Giuseppe Gazzola

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