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27/05/2018

Mc Burney: ''Le persone sempre più protagoniste della ricerca''

"Le persone con SM devono essere coinvolte in ogni aspetto dello sviluppo delle terapie". Parole del dott McBurney, direttore dell’Accelerated Cure Project for Multiple Sclerosis. La collaborazione con AISM lanciata al Congresso FISM

 

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Non solo soggetti degli studi, le persone con sclerosi multipla devono diventare partner nel disegno dei trial, del loro coordinamento, e della diffusione dei risultati. Per farlo la voce deve essere raccolta con strumenti standard che possano essere usati con rigore. Ne ha parlato Robert N. McBurney, direttore dell’Accelerated Cure Project for Multiple Sclerosis, durante il congresso FISM a Roma, dove ha annunciato anche una collaborazione con AISM.

 

Dottor McBurney, cos’è iConquerMS?
«È un network di persone con sclerosi multipla che ha come obiettivo quello di accelerare la ricerca su questa malattia facendo dei pazienti dei partner e non solo dei soggetti di studio. Sembra paradossale dover specificare questo concetto, ma finora la ricerca è stata condotta principalmente pensando a quelli che erano gli obiettivi dei ricercatori, e non dei pazienti. Le persone con SM devono essere coinvolte in ogni aspetto dello sviluppo delle terapie, dal disegno delle sperimentazioni al loro svolgimento fino alla disseminazione dei risultati. Il nostro network, che è nato grazie all’Affordable Care Act, è governato da persone con SM a ogni livello».

 

 

Come partner della ricerca, le persone con SM devono poter dire quali sono le loro priorità. Con quali strumenti?
«È vero, abbiamo moltissimi dati considerati importanti da chi fa ricerca – che riguardano le lesioni, il numero di ricadute, la progressione della disabilità – ma è solo raccogliendo la voce dei pazienti che possiamo capire quali parametri sono per loro importanti. Lo possiamo fare con i Patient Reported Outcomes (PROs), questionari che riguardano i sintomi che i pazienti compilano nelle diverse fasi della malattia. Leggendo questi dati capiamo che a preoccupare di più, soprattutto nelle prime fasi, è la fatigue, i disturbi del sonno, la depressione, l’ansia. C’è quindi una discrepanza notevole fra ciò che è importante per i ricercatori e ciò che lo è per le persone con SM e dobbiamo fare in modo di trovare un compromesso, inserendo nuovi obiettivi per valutare l’efficacia della terapia».   

 

In che modo possiamo raccogliere questi dati e renderli fruibili per la ricerca?
«Cercando di standardizzare il processo di raccolta. Noi abbiamo iniziato un lavoro in questo senso e anche AISM in Italia ha sviluppato il database PROMOPRO-MS. Nel 2016 ci siamo conosciuti e abbiamo deciso di lavorare insieme, anche sotto il cappello della Federazione Internazionale SM che ha un piano strategico proprio in questo campo, di cui AISM è leader in virtù del lavoro finora svolto. Il primo passo di questa collaborazione è un progetto pilota per l’armonizzazione dei nostri due database alla luce delle differenze culturali, non è tanto infatti una questione di diverse nazioni ma di culture».  

 

Includere le priorità delle persone con SM fra gli obiettivi della ricerca è un obiettivo anche per le forme progressive della malattia?
«Certamente. Lo sforzo incarnato dall’International Progressive MS Alliance non può prescindere secondo noi dall’accogliere i PROs all’interno della ricerca che promuove. Finora ci si è concentrati sulla conoscenza dei meccanismi della malattia e sullo sviluppo di farmaci, ora è giunto il momento di guardare anche alla gestione dei sintomi e alla riabilitazione. Per questo, insieme a Giampaolo Brichetto, coordinatore della ricerca in riabilitazione della FISM, abbiamo presentato il nostro progetto durante la terza riunione del comitato scientifico dell’Alliance. C’è evidentemente una sproporzione di mezzi e di fondi fra la ricerca finalizzata allo sviluppo di terapie e quella che ha come obiettivo migliorare la gestione dei sintomi e la riabilitazione. Proprio perché non possiamo contare su grandi finanziamenti dobbiamo fare leva sulla forza delle persone: se la ricerca le riguarda da vicino, infatti, si sentiranno maggiormente motivate a diffonderne i risultati e a promuoverne l’importanza in tutta la comunità». 

 

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