«Sappiamo che le malattie neurologiche che colpiscono il cervello iniziano molto prima che si manifestino i sintomi. Ed esistono dei dati che possono aiutarci a intercettare questi segnali. Ecco perché, dobbiamo creare sistemi che siano sempre più efficaci nel guidarci nello sforzo di prevenzione e diagnosi precoce». A tutto guadagno della salute delle persone, e dell’economia. È questo il messaggio principale che Pawel Swieboda, fondatore del policy hub NeuroCentury, ha lanciato durante il Congresso Scientifico Annuale di AISM e della sua Fondazione FISM, rimarcando l’importanza di sistemi integrati di raccolta dei dati, tanto in ambito scientifico che sanitario.
Diagnosticare prima, trattare prima, prevenire, sono gli imperativi della ricerca sulla salute del cervello, anche come investimento economico. Oggi infatti, ricorda Swieboda citando i dati dell’Institute For Health Metrics and Evaluation, ogni anno i disordini cerebrali costano circa 3,5 trilioni di dollari, tra costi diretti e indiretti per perdita di produttività.
Combattere le malattie neurologiche, ma più in generale, perseguire la salute del cervello come priorità dell’agenda politica europea, significa dunque non solo assicurare anni di vita in salute alle persone che ne sono colpite, ma risparmiare sui costi relativi all’assistenza, alla cura e all’assenteismo. Tanto più nel caso di malattie croniche che colpiscono in età giovanile, come la sclerosi multipla, e con cui le persone dovranno convivere per decenni.
«La prevenzione attualmente è considerata come qualcosa di estraneo all'approccio sanitario tradizionale. Chi non ha bisogno di prestazioni sanitarie, non è coperto dall’assistenza sanitaria - ha spiegato l’esperto -. Un concetto che deve cambiare radicalmente: la prevenzione deve diventare una leva strategica per la salute del cervello».
Il riferimento è a qualcosa che vada oltre gli sforzi per favorire la diffusione di comportamenti virtuosi, quegli stili di vita considerati capisaldi della prevenzione primaria, e che comprenda anche la creazione di un ecosistema di dati - di diverso tipo, da più fonti, e di lungo corso - che possano essere usati da algoritmi per sviluppare dei modelli predittivi.
Una strategia efficace di brain economy, dunque, non significa solo investire in diagnosi precoce e nella ricerca scientifica di nuovi trattamenti. Significa anche lavorare per favorire la creazione e implementazione di strumenti che possano favorire la condivisione di dati di interesse scientifico e sanitario, come l’European Health Data Space (EHDS), lo spazio comune dei dati sanitari, ricordato da Swieboda.
Pensato tanto come strumento di servizio - per facilitare l’accesso e la condivisione dei dati sanitari elettronici in tutto lo spazio europeo - che di ricerca e per lo sviluppo di politiche sanitarie, l’EDHS non è ancora uno strumento pronto a decollare. Ma l’entrata in vigore, lo scorso marzo, del regolamento sullo spazio europeo dei dati sanitari, contribuisce a rendere più concreta questa rivoluzione nell’ambito della raccolta e condivisione dei dati.
Una rivoluzione, riconosce l’esperto, non priva di sfide, soprattutto per quel che riguarda la creazione di infrastrutture adeguate per ospitare i diversi cataloghi di dati, funzionali, facilmente interrogabili, e che tutelino la privacy dei cittadini. Ma non solo: “Credo che la sfida sia garantire che sia la comunità della ricerca sia l'industria inizino a farne uso - ha commentato Pawel -. E’ necessario garantire che questo approccio sia realmente integrato nel funzionamento degli ecosistemi di ricerca e in quello dell'ambiente sanitario”.
Infine, Pawel ha ricordato l’importanza di garantire investimenti adeguati in ambito di ricerca e la creazione di infrastrutture specializzate per la somministrazione di servizi e trattamenti, di certo oggi non proporzionati considerando l’impatto delle malattie neurologiche sulla società.
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