La sclerosi multipla è una malattia multisfaccettata, che colpisce tutto il corpo, non solo il sistema nervoso. Ed è per questo che la sua gestione deve essere affidata a un team di esperti multidisciplinari, come previsto dal modello della MS Care Unit. Ma quello che viene offerto oggi alle persone con sclerosi multipla varia molto a seconda del luogo in cui si trovano, ovvero dai Centri che li seguono e curano. Conoscere lo stato dell’arte della multidisciplinarietà sul territorio è il punto di partenza per capire quali sono i gap da colmare per potenziare l’assistenza alle persone con sclerosi multipla.
Sono stati questi i temi al centro dell’intervento di Per Soelberg Sørensen, professore emerito di neurologia al Danish Multiple Sclerosis Center, intervenuto nella giornata inaugurale del Congresso Scientifico Annuale di AISM e della sua Fondazione per condividere le “lezioni” imparate dalla MS Care Unit survey della European Charcot Foundation. I dati raccolti dall’indagine, realizzata grazie agli strumenti messi a disposizione dal progetto europeo MULTI-ACT coordinato da FISM, servono infatti da bussola per capire a che punto siamo nell’applicazione dell’approccio multidisciplinare alla diagnosi e cura della sclerosi multipla e che direzione prendere.
«L’European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis (ECTRIMS), raccomanda che le persone con sclerosi multipla debbano essere seguite solo presso i centri che possano contare tanto su neurologi, che fisioterapisti, neuropsicologi e infermieri specializzati e che possano interfacciarsi con diverse specialità dello stesso centro, come urologi e oftalmologi», ha ricordato Sørensen. Nella pratica, però, la messa a sistema del concetto della MS Care Unit è ancora carente, come mostrano i dati raccolti tra i circa 200 ospedali, accademici e non, che hanno risposto ai questionari inviati per la survey. «Quello che offriamo ai nostri pazienti varia soprattutto a seconda della regione e del tipo di ospedale in cui vengono seguiti», ha ricordato l’esperto, puntando l’accento sulla distanza in particolare tra i centri dell’Europa occidentale - che vantano più personale, più multidisciplinarietà e più disponibilità di trattamenti - rispetto al resto del mondo.
Un altro dei dati esaminati dall’indagine è quello relativo all’utilizzo dei PROMs (Patient Reported Outcome Measures) - strumenti impiegati per raccogliere e misurare, scientificamente, l’esperienza del paziente. I dati mostrano che, in media, solo il 40% dei centri europei utilizza questi strumenti di routine. I motivi, secondo l’esperto, sono diversi. «Uno di questi è la mancata standardizzazione degli strumenti che non permette, tra l’altro, il confronto di quanto rilevato nei diversi centri di cura».
Un’occasione mancata soprattutto nell’ottica di migliorare i trattamenti delle persone, a partire proprio dall’esperienza da loro riferita. Un modo per poterlo fare è quello di permettere alle persone con sclerosi multipla di compilare i PROMS - essenzialmente dei questionari - poco prima della visita in ambulatorio, magari direttamente sullo smartphone. «In questo modo riusciamo ad avere uno sguardo sui problemi che più interessano il paziente e cominciare la visita proprio da questi. Non solo, se riusciamo a rendere facile la compilazione dei PROMS e convincere le persone a farlo con costanza, le informazioni raccolte possono diventare una nuova misura per comprendere in che modo si evolvono la malattia e i suoi sintomi nel tempo».
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