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14/12/2020

Immaginare il movimento. La nuova frontiera della riabilitazione

 

Quanto immaginare un movimento corrisponde ad eseguire quel movimento? Tanto, tantissimo: l'immagine mentale è uno specchio abbastanza fedele di quanto si verifica nella realtà, soprattutto per quel che riguarda il tempo. Ma non per tutti: in alcune persone con malattie neurologiche, il tempo mentale si dilata, è più lungo di quello reale.

 

E capire cosa influenza tutto questo potrebbe aiutare a comprendere meglio la rappresentazione motoria di queste persone, e così a ottimizzare i programmi di riabilitazione. È quanto racconta oggi uno studio condotto dalla dottoressa Jessica Podda dell'Area Ricerca Scientifica AISM e la sua Fondazione  (FISM), che ha analizzato come persone con sclerosi multipla e soggetti sani immaginano o eseguono dei movimenti.

 

Le evidenze sulla durata di azioni reali e immaginate nella sclerosi multipla (SM) sono finora piuttosto limitate, e focalizzate soprattutto sui movimenti degli arti superiori. E non è ancora chiaro, scrivono gli autori, cosa influenzi questa differenza nelle durate, che ruolo abbiano, per esempio, i limiti spaziali nell'ambiente o la fatica, fisica e cognitiva (intesa come sforzo, impegno mentale), uno dei sintomi più comuni nelle persone con SM.

 

Per capirlo Podda e colleghi hanno così osservato il comportamento di alcune persone con SM con disabilità contenuta seguite presso il Centro di Riabilitazione AISM Liguria di Genova e di alcuni soggetti sani (gruppo di controllo). In particolare hanno chiesto loro di camminare (più volte), solo mentalmente e anche nella realtà, all'interno di un percorso lineare di 5 metri, ma di ampiezza variabile (da 20 a 50 cm), facendo attenzione a non calpestare le righe di delimitazione delle diverse ampiezze, ovvero a rispettare i limiti spaziali dell'esperimento. Oltre a misurare il tempo impiegato a percorrere quei 5 metri – reali o, appunto, immaginati, registrati con i segnali di stop provenienti dai pazienti stessi – i ricercatori hanno raccolto anche informazioni relative alle abitudini in fatto di attività fisica dei partecipanti, le loro abilità di immaginazione visiva mentale, nonché indicatori della fatica e della capacità di eseguire compiti in dual-task

 

I risultati ottenuti dimostrano che effettivamente le persone con SM sovrastimavano il tempo impiegato per percorrere mentalmente i tragitti. Gli scienziati hanno poi anche osservato un aumento della durata dei movimenti reali e immaginati all'aumentare della precisione richiesta, ovvero quanto più si restringeva il percorso quanto più tendevano ad allungarsi i tempi. Inoltre, come atteso a causa della malattia, le persone con SM erano più lente del gruppo di controllo. In particolare però quello che è emerso è che l'anisocronia – intesa qui come la discrepanza appunto tra tempo mentale e tempo reale – era tanto più estesa quanto maggiore era la percezione della fatica, soprattutto quella cognitiva. E il motivo, scrivono i ricercatori, potrebbe avere a che fare con il fatto che "la fatica aumenta la percezione di uno sforzo e limita la resistenza alle attività svolte fisiche e mentali" nonché, si legge ancora nello studio, la fatica stessa percepita dal corpo può interferire con le rappresentazioni mentali di un movimento. 

 

Tutto questo, concludono gli esperti, potrebbe aiutare, se non nell'immediato in futuro, a sviluppare programmi di riabilitazione sempre più personalizzati, mirati ed efficaci. La possibilità, infatti, di allenare al movimento solo pensandolo – presumibilmente attraverso l'attivazione di reti neurali correlate, come il sistema dei neuroni specchio– è concreta e potrebbe portare a dei benefici. In maniera sicura, un fattore da non sottovalutare, soprattutto per le persone con limitazioni importanti nella deambulazione. 

 

Referenza

Titolo: Spatial constraints and cognitive fatigue affect motor imagery of walking in people with Multiple Sclerosis

Autori: Jessica Podda, Ludovico Pedullà, Margherita Monti Bragadin, Elisa Piccardo, Mario Alberto Battaglia, Giampaolo Brichetto, Marco Bove, Andrea Tacchino

Rivista: Scientific Reports.

Doi: 10.1038/s41598-020-79095-3

 

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